Economia

La crisi del gas

Crisi energetica, fuffa Ue: “Accordo raggiunto”. Ma è una farsa

Ancora dubbi dopo la riunione dei 27 Paesi membri con i vertici di Bruxelles. Draghi: “Andata bene”. Ma la realtà è un’altra

Economia

Dopo oltre dodici ore di trattative, non è stato ancora formalizzato l’accordo tra i 27 Paesi membri dell’Ue, circa le misure da adottare per far fronte alla crisi energetica e del gas. Si rimane ancora in una fase di stallo, anche se si possono annotare lievissimi miglioramenti da parte di Germania ed Olanda, che sembrano essere passate dalle trincee del no secco ad una situazione di trattativa.

Rinvio

Nonostante gran parte dei canali informativi presenti il vertice Ue come un vero e proprio successo, gli Stati paiono aver partorito solamente un topolino. Non è un caso, infatti, che ad essere nero su bianco sia solo lo stanziamento di una cifra, pari a 40 miliardi di euro, tra i fondi ancora inutilizzati nel periodo 2014-2020. Per il resto, tutto è rinviato al prossimo consiglio europeo sull’energia, fissato il 18 novembre.

La Commissione Ue, sul lato del price cap, rimane ancora incerta su quale strada seguire. Da una parte, buona parte dei Paesi membri – tra cui l’Italia – sarebbe favorevole per l’introduzione di un tetto dinamico, che potrebbe fluttuare da un minimo ad un massimo del 5 per cento, a seconda delle variazioni del libero mercato. Dall’altra, però, rimane pur sempre l’ostacolo del nuovo “modello iberico”, fondato sul tetto massimo al prezzo del gas con lo scopo di produrre energia elettrica.

Spaccatura

La duplice scelta resta ancora una partita aperta, proprio a causa degli scetticismi delle già citate Amsterdam e Berlino. Entrambe, infatti, dopo aver presentato posizioni “sabotatrici” circa la fissazione del price cap, sembrano aver aperto lievemente la porta d’ingresso, ma a condizione che si accertino nuove condizioni sul meccanismo di correzione del mercato. Nonostante tutto, la soluzione privilegiata da Scholz rimarrebbe quella di utilizzare le misure già esistenti, rivalutando lo stanziamento dei fondi del Recovery Fund e del RePowerEu, ipotesi anche accennata dalla stessa Giorgia Meloni. La ragione è molto semplice: questi pacchetti europei vennero ideati con un’inflazione pari al 2 per cento, che oggi invece ha sfondato quota 10 per cento. Si tratta di valori che, di fatto, renderebbero quasi doverosa una ridiscussione delle misure adottate mesi fa.

Ma le incertezze non sembrano finire qui. Il via libera sulle misure, discusse nel vertice Ue appena passato, potranno essere adottate a maggioranza semplice, ma con la possibilità da parte anche di un solo Stato contrario di richiedere il voto all’unanimità. Insomma, un sistema che, nei fatti, andrebbe a giocare a favore degli interessi nazionali di Germania e Paesi Bassi.

A ciò, si aggiungerebbe la volontà di gran parte dei Paesi di procedere ad una pianificazione di acquisti comuni sul gas, compiuta direttamente dai vertici di Bruxelles; oltre alla proposta francese, anche in questo caso bocciata da Berlino, della creazione di una linea di finanziamento Sure 2.0, con nuovo debito comune o con i soldi del RePoweEu.

La reazione di Draghi

Il premier italiano uscente, Mario Draghi, sembra essere comunque soddisfatto del vertice comunitario: “È andata bene”, ha detto alle telecamere l’ex numero della Bce. Eppure, nelle ore precedenti, non sono stati nascosti i mugugni italiani contro Scholz e Bruxelles. Da una parte, Draghi ha parlato esplicitamente di “vittoria di Putin”, nell’eventualità in cui l’Ue non fosse riuscita a raggiungere un accordo; dall’altra, il presidente francese Macron ha tacciato la Germania di “isolamento” – alla faccia di chi criticava l’Ungheria di Orban – a cui si aggiungono le parole di due settimane fa di Palazzo Chigi, quando Draghi colpevolizzò Berlino per l’arrivo della recessione nel 2023.

Insomma, l’intesa finale, checché ne dicano molti media mainstream, rimane ancora lontana. Ora, la palla passa a Giorgia Meloni, che dovrà cercare di riportare solidità ed unità in Ue. Termini tanto sbandierati, ma fino ad oggi rimasti solo sulla carta.

Matteo Milanesi, 21 ottobre 2022