Esteri

Dalla Francia agli Usa: perché l’odio antisemita deve preoccuparci

Sono aumentati, dal 7 ottobre, gli episodi di intolleranza verso le persone di religione ebraica. Ma le brutte notizie non sono finite qui

antisemitismo

Parigi. Londra. New York. Berlino. No, questo non è solo l’elenco di alcune delle città più importanti al mondo, che hanno segnato, per motivi diversi, il corso della storia. Quello appena presentato è anche il numero di alcuni tra i luoghi colpiti dai vergognosi episodi di antisemitismo sin dallo scoppio della guerra tra Hamas e Israele il 7 ottobre scorso.

In principio fu Parigi. Ricorderete, a fine ottobre, i graffiti di chiara marca antisemita apposti in oltre duecento tra case e negozi. Stelle di David principalmente, le stesse che venivano utilizzate per distinguere le persone di religione ebraica dagli altri prigionieri nei campi di concentramento della Germania nazista. Immagini terrificanti, che speravamo di non vedere mai più. La Francia non è stata l’unico teatro di queste scene vergognose. Anche a Londra sono stati segnalati episodi di odio verso gli ebrei. In un recente articolo del Giornale, viene riportato come l’incremento delle denunce legate a eventi di antisemitismo sia del 1353%. Numeri che spaventano e che devono far riflettere, soprattutto poiché avvenuti in una città dove le manifestazioni a sostegno della Palestina sono state numerose. E, tra una manifestazione settimanale e l’altra, oltre alle bandiere palestinesi sono comparse anche altre particolarmente inquietanti, come quella dell’Isis.

Eventi di tipo antisemita sono stati rilevati anche a Berlino, dove sono aumentati esponenzialmente gli atti di odio verso le persone ebree, ma anche nella civilissima e insospettabile New York, la città con più ebrei al mondo dietro alla sola Tel Aviv. In un articolo del New York Times dello scorso 20 dicembre, viene sottolineato come, in seguito delle manifestazioni per il cessate il fuoco, che talvolta sono sfociate in proteste più o meno violente, gli ebrei ivi residenti, per la prima volta in tanti anni, non si sentono più al sicuro. Hanno la sensazione di “non essere a casa e di non essere i benvenuti”. A tal proposito, Dan Senor, funzionario durante l’amministrazione di George W. Bush e poi consigliere per la politica estera durante la campagna presidenziale del candidato Repubblicano Mitt Romney nel 2012, sempre al NYT, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: “Il linguaggio utilizzato nelle proteste e la velocità con cui sembrano trasformarsi da proteste in intimidazioni fisiche è allarmante. Va ben oltre la critica alle politiche israeliane”.

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Protestare è legittimo. Esprimere il proprio dissenso, anche. Ma nel momento in cui si passa dalla richiesta di cessazione delle ostilità e di riconoscimento di una nazione, la Palestina, secondo il principio del “due popoli, due Stati”, a comportamenti violenti e minacciosi che rimandano a un passato terribile, si va oltre il punto di non ritorno e l’opinione pubblica non può restarvi indifferente.

LC, 20 febbraio 2024

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