Ieri è stata la giornata dell’informativa in Parlamento dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sulla vicenda riguardante la scarcerazione e il rimpatrio a Tripoli del generale libico Osama Almasri sul quale pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale per crimini di guerra, omicidi e torture. L’arresto eseguito senza la preventiva consultazione col ministero della Giustizia, poi il mandato della Corte penale internazionale con “gravissime anomalie” e dunque “radicalmente nullo” e infine l’espulsione su un aereo di Stato, come avvenuto altre volte. La cronologia degli eventi serve a mettere un po’ di ordine.
Andiamo per gradi, analizzando la normativa – inclusi problemi di forma e di contenuto – ma soprattutto la catena di eventi che ha portato alla scarcerazione di Almasri e al suo ritorno in Libia. La legge chiave è la 237 del 2012, che regola i rapporti di cooperazione tra il governo italiano e la Corte penale internazionale (Cpi), l’organismo che ha emesso l’ordine di cattura per il funzionario libico. La norma stabilisce che questi rapporti sono “curati in via esclusiva” dal ministro della Giustizia. Il guardasigilli, secondo la stessa legge, “dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione”. Ma il problema è che via Arenula è stata tagliata fuori fin dall’inizio in questa vicenda.
Almasri libero per l’Europa
Partiamo da un dettaglio. Almasri ha viaggiato serenamente per l’Europa per dodici giorni: da Londra a Bruxelles, passando per Bonn e Monaco. Dettaglio non irrilevante: parliamo di città di Stati che riconoscono la giurisprudenza della Cpi e nelle quali i magistrati dell’Aja avrebbero potuto chiedere il suo arresto. Arriviamo dunque al 18 gennaio scorso, quando il funzionario libico arriva a Torino. Solo in quel momento la Corte emette il mandato di cattura.
L’arresto
Almasri viene individuato e catturato dalle autorità italiane domenica 19 dicembre, verso le ore 9.30. Una notizia informale dell’arresto “è stata trasmessa da un funzionario Interpol a un dirigente del nostro ministero alle 12,37”, come spiegato da Nordio. Solo il 20 gennaio, alle ore 12.40, la comunicazione della Questura di Torino giunge al dipartimento per gli affari di giustizia del ministero di Nordio. Poi alle 13.57 l’ambasciatore italiano all’Aja ha inviato al ministero la richiesta di arresto. La comunicazione della questura, come evidenziato da Nordio, “era pervenuta al ministero ad arresto già effettuato e, dunque, senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla Cpi al ministro”.
Il “passacarte” dell’Aja
Sul punto la Corte, nella sua comunicazione del 22 gennaio scorso, aveva assicurato di aver avviato il “dialogo con le autorità italiane per garantire l’efficace esecuzione di tutte le misure richieste dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta” di arresto. Ricordando alle stesse autorità che “nel caso in cui individuino problemi che possano ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovranno consultare senza indugio la Corte per risolvere la questione”. Ma ciò non è avvenuto secondo l’Aja. Nordio, invece, ha rimarcato che la Giustizia non ha un ruolo da mero “passacarte”, ma è un “organo politico” che analizza e valuta bene prima di decidere. Proprio mentre il dicastero valuta, la Corte d’appello di Roma scarcera il libico, rilevando “irritualità” nell’arresto, perchè “non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia”, che, interessato il giorno prima dalla stessa Corte, “non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito”.
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Gli “errori” della CPI
Qui c’è un altro dettaglio da evidenziare. Nel documento della Cpi “c’era tutta una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un’immediata richiesta alla Corte d’appello”, ha spiegato Nordio citando in primi i problemi di date. In base ai documenti non è chiaro se i reati attributi ad Almasri sono iniziati nel febbraio 2011 o nel marzo 2015. Un’incongruenza sanata in una seconda versione del documento, datata 24 gennaio, in cui la Corte si è riunita “ribaltando completamente il precedente mandato di arresto. Quindi il primo atto in base al quale io avrei dovuto chiedere alla Corte d’Appello la conferma era un atto nullo”. Inoltre, uno dei tre giudici era contrario, ma il suo parere non è mai arrivato a Roma.
Ma bisogna tornare al 21 gennaio, quando la Corte d’appello capitolina dispone l’immediata scarcerazione di Almasri in seguito all’istanza presentata dal suo avvocato e preso atto della richiesta del pg, il quale chiedeva “che codesta corte dichiari la irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale”. Il provvedimento viene però notificato a Nordio a cose fatte.
L’espulsione di Almasri
L’espulsione è necessaria. Piantedosi ha messo la sua firma al decreto “per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato“. Così il funzionario libico viene spedito a Tripoli a bordo di un Falcon dei servizi. Cosa che, nonostante le fesserie della sinistra, non è evento raro, anzi: da quando è in carica, il titolare del Viminale ne ha firmati 24. Per quanto concerne invece l’utilizzo dell’aereo di Stato, l’ex prefetto d Roma ha chiarito che s’è di agire rapidamente “per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato”.
L’ex giudice: “Errore delle toghe”
Non è tutto. Intervenuto lunedì a Quarta Repubblica, l’ex giudice della Cpi Cuno Tarfusser ha spiegato che i giudici della Corte d’Appello avrebbero potuto tranquillamente tenere Almasri in carcere: “Assolutamente sì. La procedura era perfettamente corretta. I giudici della Corte d’appello hanno dichiarato non luogo a provvedere sull’arresto e poi provvedono, perché scarcerano. È una contraddizione in termini. E poi dicono non luogo a provvedere perché l’arresto era irrituale in quanto non previsto dalla legge. Ma la parola irrituale è già irrituale di suo”.
Franco Lodige, 5 febbraio 2025
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