Politica

“Difende i russi”. Il prof della Luiss finisce alla gogna

Alessandro Orsini alla gogna per essersi interrogato sulle responsabilità Nato nella crisi Ucraina

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Non c’è niente di peggio della censura delle idee e delle tesi scomode. Lo sanno bene i russi, abituati ormai ad un’informazione non esattamente libera. Ma lo stanno imparando da qualche tempo ormai pure gli occidentali, ormai schiavi di quella “cappa” di conformismo denunciata da Marcello Veneziani. Chiunque esca dal seminato del politicamente corretto, o in questo caso dell’analisi geopolitica imperante, finisce alla gogna.

Ieri sul nostro giornale vi abbiamo dato conto dell’intervento del professor Alessandro Orsini a PiazzaPulita. Quella del direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della Luiss è un’analisi lucida, sicuramente criticabile e discutibile come tutte le idee di questo mondo, ma basata su dati concreti. Un realismo geopolitico sull’allargamento a Est della Nato che diversi esperti condividono (vedi due politologi del calibro di George Kennan e John Mearsheimer), ma che nei salotti che contano considerano alle stregua di una bestemmia. In sintesi: la Nato ha sbagliato ad inglobare le ex Repubbliche Sovietiche; ogni grande potenza ha una “linea rossa” che gli altri non devono oltrepassare (gli Usa hanno Israele, Mosca aveva l’Ucraina, la Cina punta a Taiwan); e l’Unione Europea ha le sue colpe in questo conflitto, visto che avrebbe dovuto dire ad americani e canadesi, suoi partner Nato, di non stuzzicare troppo l’Orso russo per evitare reazioni scomposte alle porte dell’Europa. Come poi è successo.

Su Orsini sono subito piovute le reprimende di Federico Fubini del Corsera, attento a ripetere la filastrocca del “è solo colpa di Putin se ci troviamo in questo disastro”. Poi in serata è intervenuto pure l’Ateneo per esprimere “piena solidarietà al popolo ucraino” e scaricare di fatto il professore, manco si fosse presentato in tv con la maglietta di Putin che cavalca un orso o scia a petto nudo. La Luiss, ci fa sapere l’Università, è al fianco del “popolo ucraino che, da giorni, difende coraggiosamente il proprio diritto alla democrazia e all’autodeterminazione sancito dai trattati internazionali”. E invita Orsini ad “attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intero Ateneo”. In sostanza un ricercatore non dovrebbe ricercare, perché “l’evidenza storica” si dà già per acquisita. Un atto di fede. L’undicesimo Comandamento del pensiero unico.

Non siamo qui per determinare se Orsini abbia ragione oppure no. Se, cioè, la tesi secondo cui “se il Messico si alleasse con Putin”, allora gli Stati Uniti reagirebbero allo stesso modo e “lo distruggerebbero”. Magari non coi carri armati, ma con omicidi mirati o cambi di governo. Non daremo nemmeno giudizi sul suggerimento fornito dal professore: dare per persa l’Ucraina e “scendere a compromessi con Putin”, magari smembrando Kiev e riconoscendo la Crimea. Il punto qui è l’atmosfera da censura che si respira, più prossima i metodi di Mosca che alla normalità europea: la Scala che caccia il direttore d’orchestra russo, la Biccoca che boicotta Dotoevskij, il Pd che s’accanisce sull’inviato da Mosca che fornisce pure la versione del Cremlino. E adesso, come rivela Alessandro Rico su La Verità, pure il Senato Accademico della Luiss che si riunisce – all’insaputa del diretto interessato – per discutere del “caso Orsini”.

A nessuno viene in mente che, nel mondo libero, in cui ci vantiamo di vivere, non dovrebbe esistere alcun “caso Orsini”?

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