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Come investire fuori dalla Borsa con i fondi

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Le Borse mondiali, con precise regole e Authority a garantirne trasparenza e corretto funzionamento, offrono da sempre a tutti la possibilità di far fruttare il proprio denaro. Una necessità, questa, ancora più ineluttabile oggi visto che l’inflazione – innescata dalla ripresa post Covid ed esacerbata dalla guerra in Ucraina – sta corrodendo come un acido i risparmi che gli italiani hanno lasciato sul conto corrente, credendo erroneamente che fosse un porto sicuro. D’altro canto, sono ormai evidenti i primi segni di una nuova era, caratterizzata da estrema incertezza, tensioni geopolitiche e dal venir meno delle tradizionali regole di diversificazione. Il processo di democratizzazione degli investimenti ha però compiuto un importante passo verso nuove opportunità fuori dalle Borse: ora anche i piccoli risparmiatori possono iniziare a investire sui cosiddetti “asset privati”, cioè non quotati. In pratica strade, ponti, impianti per produrre energia, ospedali, edilizia sociale o altre infrastrutture strategiche ma anche tutte quelle piccole e medie imprese non scambiate in Borsa che potrebbero essere leader nella propria nicchia di mercato. Un modo, quindi, per supportare anche sviluppo e lavoro. Protagonisti della svolta sono ancora una volta i fondi, con diversi strumenti dedicati: vediamo con l’aiuto di Schroders, big del risparmio con un patrimonio di 871,3 miliardi di euro e una rete di professionisti in 37 Paesi, come approcciare i mercati privati in un’ottica di diversificazione del portafoglio saggia, responsabile, e foriera di risultati. Si prevede che la domanda di private asset “crescerà più rapidamente rispetto alle fonti tradizionali di finanziamento”, premette Tim Boole, Head of Product Management di Schroders soprattutto tra i cosiddetti high-net-worth individual, cioè soggetti con un ampio patrimonio a disposizione, tipicamente clienti del private banking.

 

 

Un freno naturale alle scelte emotive 

Tim Boole, Head of Product Management di Schroders

Prima appannaggio del private equity e quindi accessibili solo ai grandi investitori istituzionali, gli asset privati fanno sempre più parte del Dna del risparmio gestito dedicato al retail.  Diversi i fondi “chiusi” o “aperti” dedicati allo scopo.  Ricorrendo a una similitudine del mondo quotidiano, possiamo immaginare i fondi “aperti”, quelli più comuni in Borsa, come un “salvadanaio” in cui in ogni momento il risparmiatore (sottoscrivendone le quote) può inserire del denaro dalla apposita fessura oppure (vendendo quote) aprirne il fondo per un prelievo. I fondi “chiusi” invece funzionano come un “cassetto temporizzato” in cui si può riporre il denaro solo all’avvio ed essere liquidati solo alla fine del periodo o a scadenze prefissate. I fondi, a seconda di quanto sono immediatamente monetizzabili, sono poi collocabili su una ideale scala a tre gradini: liquidi, semi-liquidi o illiquidi, ricorda l’esperto di Schroders.  Concentriamoci ora sui fondi aperti semi-liquidi: caratterizzati da cicli di sottoscrizione e rimborso mensili o trimestrali, vedono le loro sottoscrizioni e i rimborsi avvenire al valore patrimoniale netto del fondo (il Nav). In questo modo, “si elimina la volatilità di mercato rispetto ai classici fondi chiusi”, evidenzia Boole assicurando che “un fondo semi-liquido – se dispone un portafoglio ben costruito, diversificato per area geografica, settore, tipologia e vintage – può creare un livello di liquidità naturale regolare e costante”. I fondi semi-liquidi, inoltre, spesso utilizzano strumenti come i massimali di rimborso o la possibilità di sospendere le sottoscrizioni e i rimborsi, in modo che il gestore possa controllare meglio la liquidità all’interno del fondo. E, non meno importante, proprio il vincolo temporale posto da questi fondi all’uscita può aiutare il sottoscrittore a evitare scelte emotive che potrebbero risultare errate, come invece può accadere in Borsa a chi non ha i nervi saldi e si lascia sopraffare dalla paura quando, come in questo momento a causa della guerra in Ucraina, i mercati sono sull’ottovolante.

 

La carica degli  Eltif

Analizzando invece i fondi chiusi, di particolare interesse appaiono gli Eltif, acronimo di European Long Term Investments Funds, veicoli dotati di “passaporto europeo”, che garantisce un elevato standard di protezione e regole certe sulla costruzione del portafoglio. Gli Eltif si possono sottoscrivere solo al momento del loro lancio mentre il “riscatto”, cioè la vendita, può avere luogo al termine della sua durata o, in base a quanto previsto dal contratto, anche a scadenze intermedie prefissate. Pur sottoposto alla Mifid 2, si tratta quindi di un investimento “vincolante” che l’investitore è bene affronti con l’aiuto del proprio consulente di fiducia e in una ottica di attenta pianificazione e diversificazione del portafoglio, così da calibrarne il rischio sulle proprie esigenze.

In generale gli Eltif sono strumenti che all’interno di un portafoglio opportunamente diversificato e con un peso percentuale calibrato possono giocare un ruolo importante nella ricerca di rendimento

 

Un volano per l’economia reale 

Indipendentemente che si scelga di scommettere sugli asset privati tramite un fondo aperto o uno chiuso, il punto centrale è la tendenza in atto e la possibilità per il retail di avere accesso a tipologie di investimento che presentano un profilo di rischio più elevato, ma che offrono al contempo rendimenti storicamente più elevati di quelli strettamente borsistici. “Le innovazioni in questa area sono numerose e destinate ad aumentare”, sottolinea Boole, notando come molti governi europei riconoscano l’importanza del capitale privato per la crescita economica e per la creazione di posti di lavoro. Come colosso del risparmio dal respiro mondiale, Schroders, quindi “guarda con entusiasmo agli sviluppi che emergeranno”, convinta di creare così altro valore per i propri clienti. 

 

La spinta della blockchain

Un ulteriore catalizzatore verso gli investimenti dei piccoli risparmiatori negli asset privati è rappresentato dalla tecnologia. Basta pensare per esempio alle piattaforme che permettono agli imprenditori di raccogliere capitale azionario da investitori-finanziatori o ai prestiti peer-to-peer, con cui un privato può finanziare un progetto in modo diretto. A questo, conclude Schroders, si aggiunge la prospettiva della “tokenizzazione”, che “potrebbe fornire agli investitori un diritto digitale di proprietà su un asset tramite la tecnologia blockchain”. Questo, oltre a ridurre potenzialmente in maniera significativa i costi di proprietà per l’investitore, permetterebbe anche maggiore flessibilità a livello di liquidità. Magari anche nell’ottica del futuro sviluppo del Metaverso.

 

 

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