Economia

Draghi, Macron e la sfida del sovranismo europeo

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Una sovranità europea. Una difesa europea. Una solidarietà fiscale europea. Il trattato del Quirinale firmato ieri dal presidente francese Macron e dal presidente del consiglio dei ministri italiano Draghi segna l’inizio di una nuova fase nella costruzione in divenire dell’Unione Europea del futuro.

Non un semplice accordo fra due stati membri, ma la assunzione di responsabilità di due leader che vogliono guidare il processo di trasformazione dell’unione al crocevia della storia, lì dove gli effetti della pandemia, il cambio di leadership in Germania e le conseguenze inattese della Brexit delineano ciò che solo pochi mesi fa non era ipotizzabile. Più sovranità europea, meno rigore fiscale, più autonomia strategica in campo militare.

Si chiude la lunga stagione a guida tedesca. La nascita a Berlino del governo “semaforo” fra socialdemocratici, verdi e liberali pone termine all’egemonia di Angela Merkel e apre dunque un possibile spiraglio al protagonismo dei due paesi mediterranei. Francia e Italia possono finalmente assumere l’iniziativa strategica per disegnare un continente più solidale a livello fiscale e finanziario, prendendo esempio dall’esperienza emersa dopo la crisi pandemica e sfociata con la strategia del Next Generation EU.

La rivisitazione del patto di stabilità europeo e la revisione dei suoi stringenti caveat non sono più un tabù. Come non lo è più il tema della condivisione dei debiti nazionali fra gli stati membri. La strada per raggiungere i due obiettivi è impervia. Gli stati ostinatamente contrari alla modifica del patto di stabilità sono agguerriti a far valere le proprie ragioni, anche grazie al meccanismo dei veti che paralizzano le riforme. Eppure l’orizzonte politico, mentre si apre la sfida tra paesi mediterranei e paesi frugali per riscrivere o meno le regole economiche oggi basate sul rigore fiscale sulle quali si regge l’Unione, è delineato.

Allo stesso tempo appare maturo il momento per approfondire una riflessione sulla necessità di avere un continente più autonomo nei confronti degli USA sul fronte della difesa. Le incomprensioni fra Europa e America sulle modalità dell’abbandono del campo di guerra afgano, che hanno portato ad una vera e propria fuga scomposta dell’occidente da Kabul e l’iniziativa Aukus, con la quale Joe Biden, Boris Johnson e Scott Morrison hanno ridisegnato una primazia degli interessi di USA, UK e Australia rispetto alla condivisione degli obiettivi strategici con i partner della NATO, Francia in particolare, devono spingere ad un’attenta valutazione sulla necessità di riacquistare un ruolo autonomo nello scacchiere geopolitico globale da parte dell’Europa. L’esercito europeo, vecchio pallino di Parigi, in questo rinnovato perimetro di alleanze non appare più un’utopia.

E così la firma al Quirinale dà inizio di una nuova fase della storia europea. La trattativa sull’accordo di cooperazione rafforzato nasce nel lontano 2017. Al governo c’era Paolo Gentiloni. Un’era geologica fa. Fra l’avvio di quella trattativa e la firma dell’attuale accordo ci sono stati anche momenti di incomprensione fra l’Eliseo e Palazzo Chigi. Per fortuna stemperati dall’attenta opera di ricucitura diplomatica del Presidente Sergio Mattarella.

Tensioni, acquisizioni ostili di asset strategici, addirittura richiami d’ambasciatori dovuti alla vicenda della visita dell’attuale ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio, ai gilet gialli francesi. Eppure per un gioco delle coincidenze politiche, che inevitabilmente danno senso ai passaggi storici e provocano conseguenze pratiche sulla vita di milioni di persone, grazie alla firma di questa intesa Francia e Italia possono ora ambire a guidare i passaggi che orienteranno le scelte dei 27 stati membri dell’unione nel prossimo futuro.

A gennaio inizia il semestre francese di presidenza di turno della UE e Draghi in questi mesi si è dimostrato un punto di riferimento per i suoi omologhi che già si sentivano orfani della leadership della Merkel, ridando lustro alla reputazione internazionale dell’Italia, non più vista come il problema per il futuro dell’Europa, ma come un possibile elemento di riequilibrio. Chiusa la fase sovranista e populista, l’Italia del governo di unità nazionale ha assunto il rinnovato ruolo di stato promotore del processo di integrazione europeo. La dimensione sovranazionale della sovranità diviene l’elemento di vincolo esterno al quale Draghi ha deciso di legare il successo del processo di riforma del sistema italiano.

Ma mentre si cerca di guardare al futuro la crisi pandemica torna bussare ai confini del continente. Come pure ai nostri confini orientali bussano le mani imploranti e cariche di speranze dei profughi siriani e afgani, lasciati transitare dal tiranno bielorusso.

Sul confine di Kuznica Brugi, limite che segna la demarcazione fra una nazione sotto tirannia e il continente che si proclama culla dei diritti dell’uomo si gioca la vera sfida per delineare l’identità dell’Europa del futuro. Non la capacità di riscrivere le regole sul patto di stabilità, non la capacità di dotarsi di un esercito continentale che ci emancipi dopo oltre settant’anni dall’egemonia americana, ma la capacità di essere conseguenti ai principi di solidarietà e di umanità diranno che tipo di Europa sapremo lasciare in eredità alle generazioni future.

Su questa sfida che interpella qui e ora le coscienze degli europei che affidano al sogno dell’Europa unita la prospettiva di un futuro di benessere e di pace per tutti i popoli del mondo, Macron e Draghi dovrebbero assumere quella leadership politica e morale che permise ad Angela Merkel di aprire le porte della Germania ad oltre ottocentomila siriani.

Spostare la dimensione del principio di sovranità dal livello nazionale ad un livello continentale non elimina tutti i difetti intrinseci dell’ideologia sovranista. 

Un’Europa sovranista e incapace di ascoltare il grido d’aiuto che giunge oltre il filo spinato con il quale pretende di difendersi dai movimenti migratori che la storia del pianeta e dell’uomo ciclicamente impongono non è un’Europa degna del destino che si è assegnata dopo le barbarie del ‘900. 
 
Antonello Barone, 27 novembre 2021
 
 
 
 
 
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