Economia

Finanza globale: Dubai ad un passo da New York e Londra?

Il fenomeno Emirati ed il futuro della finanza oltre il petrolio

Economia

Gli Emirati Arabi Uniti, internazionalmente conosciuti come UAE (United Arab Emirates), sono spesso identificati ed associati a Dubai, città-icona ed emblema della rapida ascesa di un territorio fino al 1 dicembre 1971 protettorato britannico ed indipendente appunto da tale data; in un primo momento costituito dall’unione di sei Emirati, ognuno dei quali con a capo uno sceicco, che diventarono sette all’inizio del 1972 formando appunto gli Emirati Arabi Uniti nel loro assetto definitivo.

Hanno una organizzazione governativa definita arcaica, monarchia assoluta, che contrasta con la modernità e la propensione al futuro che appare scenograficamente davanti a sguardi increduli di coloro che per la prima volta mettono piede in una delle due città-traino della Nazione, Abu Dhabi e Dubai anche capitali o capoluoghi degli omonimi emirati ed a loro volta in contrasto con altre aree del Paese ancora indietro sebbene in forte crescita.

È fuor di dubbio che con l’avvento del nuovo millennio, e per effetto di una intelligente e mirabile visione degli Emiri (o Sceicchi in gergo occidentale) unitamente al petrolio, risorsa base, gli Emirati sono diventati uno dei principali Hub finanziari mondiali e di cosiddetto business.

Naturalmente l’assenza di imposizione fiscale per persone fisiche ed una pressione minima per le società (9% a partire dal 1 gennaio 2023), un’imposta sul valore aggiunto al 5% introdotta 2018 e soltanto il 20% sui profitti delle banche hanno reso appetibile ciò che prima non era commestibile: il deserto.

Esistono inoltre delle zone franche in cui si ha la totale esenzione dalle tasse e dazi doganali al 5% per le importazioni, ma parliamo di inezie considerando i livelli medi di pressione fiscale nel mondo … ad esclusione dei cosiddetti Paradisi Fiscali.

Al contrario dei paradisi fiscali però gli Emirati hanno creato una vera e propria realtà futuristico-finanziaria che offre, oltre ai citati vantaggi, anche una elevata qualità della vita (per ora principalmente a Dubai ed Abu Dhabi) dovuta ad infrastrutture di prim’ordine, interi e lussuosi quartieri residenziali e possibilità di vivere una socialità come in occidente, ciò grazie ad un ammorbidimento dell’integralismo della religione islamica (al fine di spaventare meno chi decide di trasferirsi negli Emirati) ed a molti brand occidentali che rendono la vita meno Islamic Way.

Naturalmente i Rulers, ovvero coloro che creano le regole e le leggi, alias gli Emiri, hanno sempre preso in grande considerazione il dato di fatto che il petrolio prima o poi non potrà più essere la loro prima ed unica fonte di sostentamento e, considerando la morfologia del territorio, hanno appunto creato la cosiddetta cattedrale nel deserto ma non fine a se stessa.

I proventi del petrolio vengono utilizzati per convertire le fonti del PIL, principalmente in: energia solare considerando che hanno spazio e sole in abbondanza, real estate attraverso la costruzione da zero di interi quartieri di super-lusso le cui abitazioni vengono vendute per il 90% a stranieri e la cui primaria società immobiliare, EMAAR, è partecipata la 75% dallo Stato; il tutto con servizi altamente tecnologici come ad esempio il trasposto ipersonico Hyperloop (vagoni-proiettili lanciati in un tubo gigante ad altissima velocità per dirla in parole povere).

Ed ovviamente non si poteva non pensare al turismo con centinaia di hotel 5 stelle e mega centri commerciali da mille ed una notte.

In pratica gli Emirati si stanno preparando ad un futuro senza petrolio già da 10 anni, non a caso hanno creato la prima città totalmente autonoma ad impatto zero ed alimentata soltanto ad energia solare, Masdar City quale progetto pilota; stanno creando le condizioni affinché diventi ideale vivere e produrre a Dubai piuttosto che Abu Dhabi ed invogliando privati ma soprattutto società, banche e grandi brand a mettere tende in quello che loro definiscono il paradiso terrestre e fiscale a 360 gradi e per 365 giorni l’anno.

Recenti accordi hanno anche portato negli Emirati sia il Louvre che il British Museum e tutto ciò che può costituire entertainement artistico, storico, culturale ma anche ludico e multimediale per chi decide di trasferirsi ed affinché abbia piacere oltre al lavoro.

Con queste premesse e, paradossalmente, grazie anche ad un po’ di rigidità derivante dalla cultura islamica, negli Emirati, contrariamente a quanto accade nelle citate Londra e New York, si vive abbastanza sicuri ed easy way soprattutto nel settore del business e della finanza; naturalmente come in tutti i luoghi esiste l’altra faccia della medaglia, criticità da risolvere come ad esempio professioni ed occupazioni definite di livello medio non ben retribuite piuttosto che quasi-sfruttamento della classe operaia.

Probabilmente occorrerà ancora del tempo affinché le principali lobbies ed i grandi gruppi finanziari internazionali trasferiscano le loro sedi operative negli Emirati ma il processo è avviato ed il trend è in costante crescita; soprattutto una forte accelerazione è dovuta alla tecnologia che dall’avvento del Covid è diventata essenziale per lo smart working.

Gli Emirati hanno creato una vera e propria realtà futuristico-finanziaria che offre numerosi vantaggi, oltre ad una elevata qualità della vita per la quale si stanno preparando ad un futuro senza petrolio già da 10 anni. Ecco perchè Dubai potrebbe diventare la prossima capitale globale finanziaria.

Antonino Papa, 3 aprile 2022

 

 

 

 

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