Gli italiani “scoppiano” sul lavoro, vogliono settimana corta e smart working

Solo uno su dieci accetta uno stipendio più basso. Ma la vera sfida del Paese è migliorare competitività e produttività

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smartworking settimana corta

Gli italiani sognano la settimana corta e di poter tornare alla comodità dello smart working, come quando ai tempi del Covid si sedevano al computer facendosi il nodo alla cravatta senza indossare i pantaloni e durante la giornata avevano il tempo di impastare farina e lievito per mettere il pane in tavola o aiutare i figli nei compiti di scuola.

Non solo, più di un lavoratore su tre (35%) nell’ultimo anno è “scoppiato” in ufficio o in fabbrica. E’ quello che in gergo si chiama burn out, secondo gli esperti la crisi causata da troppi impegni, troppe responsabilità per la posizione ricoperta in azienda e  mancanza di supporto dai superiori di grado.

A prendere il polso al mercato del lavoro è uno studio di Adecco che insieme al nostro Paese guarda anche al resto del mondo. Numeri a parte, quello che ci interessa qui notare è che anche gli italiani mettono al primo posto non più obiettivi come la carriera, il successo, la crescita del proprio reddito per mettere su casa, la realizzazione professionale ma la qualità della vita, il suo bilanciamento, le ferie e il tempo libero.

Valori che oggi sono considerati prioritari, spesso irrinunciabili soprattutto tra i giovani. Ma che, nella migliore delle ipotesi avrebbero fatto sorridere i loro nonni impegnati nel “miracolo economico” che ha fatto dell’Italia una potenza industriale del G7. E che, probabilmente, sarebbero stati financo offensivi da pensare durante la seconda guerra mondiale, quando i loro genitori erano costretti a sparare al fronte o a fuggire nelle cantine per salvarsi dai bombardamenti.

I primi a capire che gli obiettivi di vita degli italiani sono cambiati sono state Intesa Sanpaolo, cioè la principale banca del nostro paese, la multinazionali degli occhiali Luxottica e Lamborghini, che fa parte del gruppo Volkswagen: tutte stanno sperimentando la settimana corta. La svolta nel produttore di auto di lusso fa capire, inoltre, come non solo i servizi avanzati o la manifattura made in Italy, ma anche il lavoro delle tute blu sia diverso dal passato, sebbene tra i sindacati persista l’ossessione tutta ideologica di scagliarsi contro i super stipendi dei top manager. Tanto che hanno ormai i metalmeccamnici hanno voltato le spalle anche ai continui scioperi con cui la Cgil di Maurizio Landini perde tempo in piazza. Quanto ancora alla flessibilità, altre aziende stanno invece sperimentando i venerdì brevi, quelli che da sempre sono abbracciati dal mondo delle assicurazioni.

Senza dubbio una scelta azzeccata, anche considerando la sfida di riportare in Italia cervelli o perlomeno di frenarne la fuga. La piaga dello stress e della insoddisfazione è peraltro più grave del previsto se si pensa che, quasi un altro terzo del campione analizzato dallo studio (29%), è preoccupato di crollare entro il prossimo anno. Insomma, tra chi è già stato in burn out o teme di cascarci, si arriva a sei lavoratori su dieci. Solo il 18% si dichiara infatti soddisfatto del proprio bilanciamento vita-lavoro.

Così la richiesta di maggiore flessibilità lavorativa è in cima ai pensieri di quasi 9 adetti su dieci (87%) e oltre il 70% vorrebbe la settimana corta. Tra le cause anche e alcune problematiche strutturali come il fatto di faticare a smaltire le ferie dell’anno in corso o di ottenere dall’azienda tempo libero retribuito per prendersi cura della propria salute psico-fisica. Una flessibilità quest’ultima concessa solo da 15 società su cento.

Per approfondire leggi anche: la testimonianza di questo imprenditore che vuole assumere ma non trova personale specializzato e i danni lasciati dall’invecchiamento della popolazione che fanno del Sud Italia un paese in pensione, pur con  lo zampino del sommerso. Se invece vuoi saperne di più sul problema della competitiva leggi il ciaone con cui Stellantis ha deciso di produrre la Panda elettrica in Serbia malgrado gli aiuti pubblici pluri-miliardari ricevuti da Fiat nella sua storia.

Scorrendo lo studio si scopre, però, che soltanto il 10% accetterebbe, in cambio di comodità e settimana corta, di guadagnare meno. E che il 66% considera una condizione irrinunciabile la parità salariale. Difficile dargli torto vista la tagliola delle tasse che pesa sulla classe media anche con le aliquote Irpef rivista dall’ultima manovra e visto come il fisco sta per divorarsi le tredicesime.

I veri problemi strutturali del nostro Paese però sono altri. Si chiamano produttività e competitività. In questo momento l’Italia è molto distante da quello che avviene per esempio in Germania e questo si traduce in stipendi inevitabilmente più leggeri. Se lo smart working, la flessibilità, la settimana corta non produrranno benefici in queste direzioni, oltre che sul benessere dei dipendenti, la battaglia industriale sarà perduta. Il genio creativo e l’impegno degli imprenditori del made in Italy da soli non basta più.

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