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Accendere sulla Terra tanti piccoli “Soli artificiali” per mettere a disposizione di tutta l’umanità energia pulita e inesauribile ricavata dall’idrogeno, cioè dall’elemento che insieme all’ossigeno compone la molecola dell’acqua, l’elemento naturale per eccellenza. E’ una rivoluzione insieme tecnologia e politico-culturale quella avviata dall’Eni con CFS (Commonwealth Fusion Systems), costola del Massachusetts Institute of Technology (MIT), per rendere realtà entro i primi anni del 2030 la prima centrale elettrica basata sulla fusione a confinamento magnetico. Qui l’accuratezza nei termini è fondamentale: non si tratta della fissione nucleare, quella impiegata dalle centrali attive, ma della fusione a confinamento magnetico, appunto quella che dalla notte dei tempi accende le stelle dell’Universo, a partire dal Sole che riscalda e alimenta la vita sul nostro Pianeta.

L’asso da giocare per la lotta climatica
La fusione a confinamento magnetico è una tecnologia molto sofisticata, capace di vincere sfide fino a qualche anno fa impossibili, come gestire in sicurezza un plasma che raggiunge i 100 milioni di gradi di temperatura. Ma al di là dei tecnicismi, quello che davvero conta per il consumatore finale è che da queste nuove centrali che imitano il funzionamento del Sole si potrà ricavare un fiume di energia sostenibile, virtualmente illimitata e sicura. Insomma, la fusione a confinamento magnetico promette di essere il cambio di paradigma , l’asso vincente da giocare nella partita della decarbonizzazione e della lotta al cambiamento climatico. Il tutto, proprio come fa Eni, continuando a investire anche sulle fonti rinnovabili classiche, quali l’eolico e il fotovoltaico o l’energia delle onde del mare. Ma vediamo da vicino il sogno che si realizza di “catturare” l’energia delle stelle.
Un rendering del cuore del reattore a confinamento magnetico su cui sono al lavoro Eni e CFS. Credit CFS
La stella Tokamak
Il cuore di tutto si chiama “Tokamak” ed è la macchina per il “confinamento” del plasma, basata su magneti così potenti da riuscire a “pressare” tra di loro gli atomi di idrogeno fino a farli fondere, liberando una grande quantità di energia. Attorno a questi supermagneti, una camicia di cemento armato e tutto il resto della centrale. Si stima che in questo modo si potrà ricavare dall’idrogeno un flusso di energia duecento milioni di volte maggiore rispetto a quella che si otterrebbe dalla medesima quantità di carbone. Una vera rivoluzione. La firma al progetto per accelerare su questa nuova tecnologia è stata posta la scorsa settimana dall’ad di Eni Claudio Descalzi e dal ceo di CFS, Bob Mumgaard nei pressi di Boston, dove si trova il centro ricerche e il cantiere dell’impianto. Questo nuovo accordo rafforza la partnership tra le due società, unendo l’esperienza ingegneristica e di project management di Eni a una serie di progetti a supporto di CFS, e lo sviluppo e distribuzione dell’energia da fusione su scala industriale. Vale la pena ricordare che Eni ha investito per la prima volta in CFS nel 2018 e ne è azionista strategico, con una quota prossima al 20%. Non solo la multinazionale italiana è stata la prima società energetica a credere in questa tecnologia che, una volta portata a livello industriale, potrà dare un contributo davvero importante alla transizione energetica. Non per nulla anche l’amministrazione Biden vi investe in modo massiccio.

Entro il 2025 il primo impianto
Il primo impianto pilota a confinamento magnetico al mondo a produzione netta di energia da fusione, cioè in grado di restituire più energia di quanto sia necessaria per “accenderlo”, è già in costruzione e sarà operativo entro il 2025. Sarà il grande banco di prova per arrivare poco dopo il 2030 alla prima vera centrale elettrica industriale da fusione in grado di immettere elettricità in rete. “Vedremo realizzata la prima centrale elettrica di CFS basata sulla fusione a confinamento magnetico all’inizio del prossimo decennio”, ha assicurato Descalzi durante l’incontro di Boston. Ci saranno quindi poi quasi venti anni a disposizione per diffondere questa tecnologia e raggiungere gli obiettivi di transizione energetica fissati per il 2050. “Questo vorrà dire disporre a livello industriale di una tecnologia in grado di fornire grandi quantità di energia senza alcuna emissione di gas serra prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile fornendo un contributo sostanziale alla transizione energetica”, ha proseguito Descalzi sottolineando che si tratta di “una potenziale svolta tecnologica epocale”. Questo accordo di collaborazione “ha il grande potenziale di far progredire i nostri sforzi sulle principali sfide globali e sulle opportunità di trasformazione del panorama energetico grazie a una fornitura illimitata di energia pulita da fusione” ha chiosato Mumgaard, ricordando “il ruolo chiave che le società energetiche esistenti svolgono nell’accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione e la forza dell’abbinamento con tali aziende.”
Un firmamento di 10mila stelle dell’energia
Gli esperti del settore sono certi che le sole rinnovabili non saranno sufficienti per coprire la crescente fame di energia del mondo, dove sempre maggiore è la richiesta anche dei Paesi in via di sviluppo. In particolare, si stima che attorno al 2040 eolico e solare avranno raggiunto una diffusione che difficilmente potrà essere ulteriormente incrementata, anche per limiti tecnologici. Ma proprio in quello stesso periodo il mondo avrà a disposizione la fusione a confinamento magnetico. Tecnologia che, secondo alcune proiezioni, potrebbe fornire un contributo del 20% al fabbisogno energetico mondiale senza produrre CO₂ o altri gas serra, grazie a 10.000 impianti distribuiti a livello globale. Appunto 10mila piccole stelle accese sulla Terra per creare un nuovo firmamento dell’energia pulita.

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