Cultura, tv e spettacoli

Ghali e D’Amico, la “libertà” non c’entra. A Sanremo devi contenerti

Appelli alla pace, immigrazione, il grido contro il “genocidio”. Il Festival non è un comizio e neppure un talk show. Ma anche la Rai sbaglia

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Ci hanno provato, in Rai, a non far sollevare polveroni. Speravano di sentir risuonare solo la musica, e invece come al solito strombazzano le questioni politiche. Inevitabile, o quasi, quando metti il microfono in mano a cantanti che, celandosi dietro l’immunità artistica, scambiano il palco di Sanremo per la festa dell’Unità.

Nel primo vero Festival della nuova dirigenza, dopo l’imbarazzante carnevalata di anno scorso, tra baci di Rosa Chemical, letterine femministe, monologhi sul razzismo e via dicendo, la kermesse chiusasi due giorni fa era partita anche bene. Certo: c’era stato il duetto Amadeus-Mengoni sulle note di Bella Ciao e l’inutile invito ai trattori a salire sul palco, ma insomma: niente rispetto al Ballo del Qua Qua. Poi però il desiderio di visibilità degli artisti ha preso il sopravvento e nelle ultime due serate è venuto fuori tutto l’armamentario di una certa cultura sinistra: BigMama s’è rivolta alla comunità queer, Dargen D’Amico ha chiesto di fermare le bombe, Ghali ha evocato il “genocidio” a Gaza e sono pure spuntate bandiere palestinesi in diretta tv davanti a 15 milioni di persone. A nessuno, nemmeno ad Amadeus, è venuto in mente di ricordare quei ragazzi uccisi il 7 ottobre, massacrati durante un festival musicale israeliano.

Partiamo affermando un principio: la libertà di espressione è sacrosanta e certo Amadeus non può abbattere a cannonate un cantante non appena questi gli chiede di “poter dire due parole”. Ma essere liberi non esime dal dovere di contenersi. Di capire il momento. Di decifrare il contesto. Ghali ricorda che sono anni che parla “di quello che sta succedendo nelle mie canzoni”, ma questo non lo solleva dalla responsabilità di comprendere che non può “usare questo palco” come gli pare e piace. Perché la sua rispettabilissima idea sulla guerra in corso nella Striscia è parziale, da approfondire, certo non esauribile in due parole (“stop genocidio“) urlate con il bamboccio di un alieno al fianco. Ma soprattutto chi vorrebbe replicare a certe esternazioni, primo fra tutti l’ambasciatore israeliano, non ha la fortuna di poter godere di 10 secondi in diretta di fronte alle telecamere più ambite d’Italia. Per di più in una tv pubblica. Ecco perché l’intervento riparatore dell’Ad Roberto Sergio, per quanto tardivo, è servito a riequilibrare una narrazione che – per colpa di blitz non concordati con l’azienda – era stata sin lì a senso unico.

Nessuno mette in dubbio il diritto dell’artista di presentare a Sanremo una canzone sui migranti (come ha fatto Dargen D’Amico) o di realizzare un medley con frasi in arabo e “L’Italiano vero” di Toto Cutugno. In quell’ambito il cantante si esprime ed ha il diritto di farlo come crede: al massimo la Rai avrebbe potuto bocciare il brano, cosa che non è accaduta (e che smentisce le accuse di una Rai “megafono del governo Meloni”). In fondo testi “impegnati” o “scomodi” sono già apparsi al Festival in passato. Ricordate Fabrizio Moro sulla mafia? Oppure “Luca era gay” di Povia? I testi sono insindacabili. Diverso è invece se l’artista esce dai binari, oltrepassa il motivo per cui è stato ingaggiato e scambia il Festival in un raduno di centri sociali. Cosa avremmo detto se un interprete fosse salito sul palco e avesse invocato il blocco navale anti-migranti (“diritto a non emigrare”) o avesse chiesto l’invio di armi letali all’Ucraina per difendersi da Putin? E se Madame avesse fatto un appello a non vaccinarsi? Chiedo: il Pd, il M5S e Sinistra Italiana avrebbero difeso la sua “libertà” di espressione?

Detto questo, nessuno punirà Ghali, D’Amico o chi ha esposto quei cartelli ma le critiche sono più che legittime.

Occorre infine considerare l’altro lato della medaglia. Il discorso fatto sinora vale per il Festival di Sanremo, per la diretta, non per tutto il resto. Se inviti Dargen D’Amico ad un’intervista a Domenica In e i giornalisti gli chiedono di parlare dei migranti, tema della sua canzone, non puoi bloccarlo a gamba tesa. Perché in quel caso il “contesto” di cui sopra, cioè le domande dei cronisti sulla sua musica, era compatibile con il discorso del cantante a favore dell’accoglienza. Certo è che in un programma di intrattenimento mettersi a sciorinare dati sulle pensioni degli immigrati finisce con l’uccidere lo share. Quindi capisco Mara Venier.

Giuseppe De Lorenzo, 12 febbraio 2024

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