Esteri

Hezbollah, i cercapersone e la guerra cyber. Può succedere alle auto e ai cellulari?

Bilancio di 11 morti e oltre 4 mila feriti, un attacco senza precedenti che lascia qualche dubbio tra gli esperti

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È di 11 morti e oltre 4 mila feriti – di cui 400 in condizioni critiche – il bilancio dell’esplosione in sequenza di migliaia di cercapersone usati da Hezbollah in Libano e in Siria. Un attacco tecnologico che rischia di esacerbare lo scontro tra il gruppo militante e Israele. Le esplosioni sono “la più grande violazione della sicurezza sino a oggi”, lamenta l’organizzazione paramilitare islamista che punta il dito contro lo Stato ebraico: “Riteniamo il nemico israeliano pienamente responsabile di questa aggressione, che ha colpito anche civili e ha causato la morte di numerosi martiri e numerosi feriti”. Il ‘Partito di Dio’ ha promesso una “giusta punizione per questa aggressione criminale”. Anche il governo libanese ha accusato Tel Aviv, complice la ricostruzione fornita da Hezbollah: i cercapersone interessati facevano parte di una nuova fornitura ricevuta nei giorni scorsi. L’offensiva potrebbe essere stata realizzata con un attacco informatico tramite malware capace di surriscaldare i dispositivi sino a farli saltare in aria, ma questa non è l’unica ipotesi in campo.

Per gli esperti si tratta sì di un attacco senza precedenti, ma non così innovativo da punto di vista tecnologico. Secondo quanto riferito da molti testimoni, alcune persone hanno sentito i cercapersone – i cosiddetti pager, utilizzati perché più difficilmente intercettabili dai servizi segreti – riscaldarsi, riuscendo a sbarazzarsene in tempo. Altri, meno attenti, sono rimasti feriti, persino mortalmente. Una modalità d’azione propria del Mossad, l’agenzia di intelligence iraniana, secondo l’analista Ronen Solomon. Sulla stessa lunghezza d’onda Michael Horowitz, responsabile dell’intelligence di Le Beck International.

Quello che sembra chiaro è che i cercapersone siano stati venduti al gruppo sciita da una società iraniana. Ma come è stato possibile manometterli? L’esperto di cyber security Claudio Telmon ha citato tre ipotesi. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, due contemplano la necessità che Israele sia riuscita a mettere le mani su ogni dispositivo, intercettando il carico destinato. In tal caso, l’esplosivo sarebbe stato inserito vicino alla batteria, causando una reazione a catena. In una ipotesi c’è il citato utilizzato di un malware, un trojan, capace di aprire una porta nascosta su un sistema, utilizzabile dai terzi che l’hanno installata. L’alternativa è rappresentata dall’uso di speciali frequenze radio, così da istruire i pager ad azionare l’esplosivo. La terza e ultima possibilità non contempla l’utilizzo di esplosivo: i responsabili dell’attacco potrebbero aver surriscaldato i cercapersone con comandi a distanza, facendo saltare in aria la batteria.

Come evidenziato dall’esperto di cyber security Pierguido Iezzi all’Adnkronos, non è la prima volta che Israele ricorre a operazioni di questo tipo. Circa trent’anni fa lo Shin Bet uccise “l’Ingegnere” Yahya Ayyash, capo degli attentatori di Hamas, attraverso un’esplosione tramite un cellulare. Il Mossad, invece, aveva assassinato un esponente palestinese a Parigi trasformando il telefono della sua abitazione in una trappola: dopo averlo riempito di esplosivo, hanno trasmesso l’impulso decisivo quando il bersaglio aveva risposto ad una chiamata.

Può succedere anche con i nostri cellulari? Il motivo per cui Hezbollah utilizza i cercapersone è proprio per evitare intercettazioni da parte del nemico, non essendo questi dispositivi connessi a canali di comunicazione standard come i cellulari (WiFi o GSM). La domanda che tutti si pongono è: può succedere anche ai nostri cellulari? Sì e no. Paolo Dal Checco, consulente informatico forense, al Corriere spiega che “le batterie al litio dei cellulari, ma anche quelle degli elettrodomestici, così come dei monopattini e delle auto elettriche, sono sì soggette a incendi ma difficilmente possono esplodere in maniera dirompente”. Insomma: “Che i nostri smartphone vengano fatti esplodere da remoto pare, quindi, altamente improbabile anzi quasi impossibile, a meno che non siano stati predisposti per farlo inserendovi una carica esplosiva”. È anche vero, tuttavia, che “in linea teorica” si potrebbe far scaldare da remoto una batteria “fino a danneggiarla, forse persino a farla gonfiare e prendere fuoco”. Non sarebbe però verosimile un’esplosione simile a quelle registratesi in Libano.

Di certo, l’attacco a Hezbollah conferma le potenzialità della tecnologia in guerra, ma allo stesso tempo spaventa. Fa paura. Il motivo è semplice: forse nessuno è e sarà mai davvero al sicuro. Se è possibile utilizzare persino un cercapersone per uccidere un uomo, tutto è possibile. La tecnologia è in grado di sfruttare qualsivoglia apparecchio, anche i più antichi. Del resto abbiamo tutti fatto i conti con le immagini degli attacchi realizzati con i droni, utilizzati sia per realizzare film che per fare saltare in aria i gruppi nemici. Figurarsi ipotizzare le potenzialità di un attacco realizzabile con le automobili, oggi tutte iper-tecnologiche, oppure con orologi e occhiali hi-tech.

Franco Lodige, 17 settembre 2024

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