Esteri

Il piano segreto di Ursula per mettere ko Trump

Trump VDL

La Deep Europe lavora al piano segreto contro i dazi di Trump. Con il passare delle settimane, negli esclusivi circoli di Londra, Parigi e Berlino cresce il senso critico verso la linea sempre più morbida e indecisa dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti. A Ursula von der Leyen e ai leader europei viene contestato un atteggiamento definito di “turismo diplomatico” nella capitali europee con il presidente Zelensky portato in giro come una reliquia in processione.

Nei rapporti con gli Stati Uniti, anche da alleati, bisognerebbe adottare un approccio più fermo, come fece Craxi a Sigonella o come sosteneva Cossiga: “A volte, anche con Washington, devi far sentire che hai la pistola nella fondina, anche se poi non la usi”. Uno dei gruppi più attivi nel delineare una risposta dura a Trump è il cosiddetto Gruppo di Évian, dal nome della località francese Évian-les-Bains, dove si riuniscono leader aziendali e rappresentanti governativi impegnati nella promozione di un’economia di mercato globale aperta, inclusiva, equa e sostenibile, all’interno di un quadro multilaterale basato su regole certe. Fondato nel 1995 durante un incontro internazionale di responsabili delle politiche commerciali e pensatori politici, il Gruppo ha successivamente stretto legami con l’IMD (International Institute for Management Development) – promosso da Nestlè, il più grande gruppo alimentare del mondo – adottando il nome The Évian Group at IMD. Grande attenzione al Gruppo viene ora dedicata dal nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz.

Un leader “geneticamente amerikano” dal momento che la sua intera carriera politica e i suoi affari sono sempre stati all’insegna dello Zio Sam, visto che è anche stato il rappresentante di BlackRock per la Germania. La sua insofferenza nei confronti di Angela Merkel rifletteva anche questo aspetto: Merkel, donna dell’Est, parlava russo e dialogava con Putin; Merz, invece, ha sempre guardato all’Atlantico. Come prima mossa ha recuperato il rapporto con l’Inghilterra, tornata protagonista sulla scena internazionale e paese guida in Europa, ed è certo che i primi a soffrire del nuovo corso tedesco saranno i giganti della tecnologia americana. Merz non vuole lasciare i dati degli europei – tantomeno quelli delle amministrazioni statali – nelle mani delle Big tech statunitensi a cominciare da Microsoft e Google. La sua leadership porterà ad un forte impulso verso soluzioni di sovranità tecnologica nazionale o europea. Per l’Europa, secondo questi “Santa sanctum” come il Gruppo di Evian ma non solo, la risposta ai dazi di Trump sarebbe semplice: tassare ancor di più i servizi tecnologici e finanziari che gli Usa vendono al Vecchio Continente e smobilitare quei titoli del debito pubblico americano in pancia alle proprie banche. I dazi trumpiani sono tutti concentrati sui beni materiali, per cui la bilancia commerciale degli Stati Uniti è in deficit, proprio per evitare contro-tariffe sui servizi, di cui invece vive l’economia Usa.

È quindi su quest’ultimi che si può colpire il tycoon, non certo su whiskey o jeans. Allo stesso modo, il tallone d’Achille degli Stati Uniti è il grande debito pubblico. Per Trump sarebbe un problema se l’Europa smettesse di comprare titoli del Tesoro americano. Con queste due pistole fumanti sul tavolo, l’Ue può trattare alla pari con gli Usa. E minacciare pure un riavvicinamento alla Cina, anch’essa ricca di titoli di debito americani. Trump vuole imporre dazi agli altri Paesi, anche alleati, per ridurre, di importo pari a quello che riscuote con i dazi, le imposte dirette e indirette su persone fisiche e imprese americane. Per tradurlo in italiano, niente più Irpef, Ires e Iva ma solo dazi per finanziare il Paese. Sarà questo lo schema del futuro che dagli Stati Uniti di oggi si espande per necessità al resto del mondo? Un cambio di paradigma, di linguaggio, di tutte le convenzioni su cui fino ad oggi si sono rette le economie globali. E soprattutto un dubbio… Ma è possibile un nuovo equilibrio mondiale fondato sui dazi, dopo circa 80 anni di sviluppo e prosperità basati su un equilibrio esattamente opposto?

Al momento, ciò che impatta di più sull’economia globale, in negativo, è l’incertezza portata da Trump. La sua imprevedibilità destabilizza mercati, investitori, imprese e famiglie che non sapendo a cosa andranno incontro sospendono ogni decisione di investimento o spesa. La precarietà delle aspettative paralizza anche i democratici, del tutto assenti fino ad oggi dal dibattito, Biden, Obama e Clinton in primis. Solo la Corte suprema batte un colpo. È pur vero che è ancora troppo presto per giudicare, gli effetti della nuova politica americana si vedranno nel lungo termine. Per questo nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione al Congresso martedì scorso, Trump ha chiesto agli americani di avere pazienza. Il presidente Usa punta tutto sulla pace in Ucraina e magari in Medio Oriente: se riesce a far finire le guerre, l’inflazione crollerebbe e potrebbe compensare altre forme di “sconto” sul futuro. Soprattutto, se Trump sarà il grande pacificatore avrà carta bianca su tutto il resto. C’è un solo elemento che può giocare contro di lui: l’impossibilità di candidarsi ancora.

In questo scenario, il mondo e l’Europa hanno un altro modo di sopravvivere: turarsi il naso e cercare di passare indenni questi quattro anni, poi torna la normalità. A meno che Trump non introduca modifiche per cui nel 2028 possa ricandidarsi. Certo, molto dipenderà da come andranno i primi due anni di mandato. Ma questi circoli che studiano le contromosse per contenere l’esuberanza di Trump hanno già individuato chi può andare a dargli un primo avvertimento: il primo ministro Sir Keir Starmer, leader del Partito Laburista, in carica da luglio 2024, dopo 14 anni di governi conservatori di cui l’ultimo di Rishi Sunak. Può parlare dell’Europa, influenzandola pur essendone uscito, forte di un’alleanza ritrovata con Washington e con alle spalle un esercito e una marina abituata alla guerra, oltre a un servizio segreto che ancora dà le carte nel mondo e al soft power di re Carlo III.

Per Ursula, Giorgia, Emmanuel e compagnia di giro potrebbe essere la strada giusta per mettere un freno a Donald e far sopravvivere un’Europa paralizzata dai veti e dai regolamenti.

Luigi Bisignani per Il Tempo 9 marzo 2025

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