Cronaca

Il braccio di ferro

La mossa delle Ong per aggirare i divieti del governo

Le navi umanitarie sul piede di guerra: proseguono i ricorsi. Meloni non si tira indietro

Cronaca

La situazione si è raffreddata, ma non congelata. La sfida tra Ong e governo è solo all’inizio e durerà a lungo. Lo insegna il periodo di Salvini al Viminale, dove non passava giorno senza uno scontro con le navi umanitarie. Ma lo certifica anche la determinazione con cui Giorgia Meloni ha appoggiato le decisioni del ministro Matteo Piantedosi. Nessuno sconto alle Ong perché quelli che salvano non sono “naufraghi” ma “migranti” e dunque non può essere l’Italia a farsene carico.

Le mosse di Meloni e Piantedosi

La strategia italiana è nota: il Belpaese intende farsi carico dei naufraghi raccolti nelle operazioni Sar coordinate dal nostro centro marittimo (come nel caso degli 89 della Rise Above e dei 640 sbarcati nelle ultime ore), ma non accetta che organizzazioni private decidano le politiche migratorie dell’Italia. In sintesi: le Ong non possono andare nel Mediterraneo appositamente per caricare immigrati irregolari e traghettarli tutti in Italia. Da qui il braccio di ferro con la Geo Barents e Humanity1, che prima ha portato allo sbarco “selezionato” di fragili e minori. E qualche ora dopo ha visto sbarcare tutti sulla base di “scelte bizzarre” dei medici dell’Asl, che hanno valutato le condizioni psicologiche degli stranieri rimasti a bordo delle due navi.

I cavilli e le irregolarità

Vedremo come il braccio di ferro proseguirà. Anche se è possibile che l’Italia cerchi la via “amministrativa” per mettere i bastoni tra le ruote alle Ong. Come ci ha rivelato in esclusiva un armatore, se le navi umanitarie sono nel Mediterraneo allo scopo di recuperare persone, allora dovrebbero essere attrezzate per ospitarle con tutti i crismi. Un po’ come i traghetti: sedie, cibo, posti letto. Se così fosse, le Ong potrebbero tranquillamente affrontare il viaggio che li separa dai grandi porti europei (magari quelli del loro Stati di bandiera) senza essere costretti in “emergenza” a virare verso il porto più vicino. Ovvero l’Italia.

Su questo il governo sta portando avanti anche una sfida con tutta l’Europa. Mentre Bruxelles ci invita ad aprire i porti indiscriminatamente, per poi affidarci al mal funzionante sistema di redistribuzione, Meloni e Macron sembrano aver perso l’idillio delle prime ore. Al Cairo i due presidenti si sono incontrati e dopo la decisione della Ocean Viking di puntare verso la Francia molti avevano pensato ad un accordo tra i due Stati. Salvini e Meloni avevano sostanzialmente “ringraziato” Parigi pubblicamente. Le dichiarazioni del portavoce del governo francese però dimostrano che la Francia non è contenta di come siano andate le cose. Marsiglia e la Corsica sono pronti ad accogliere i 250 migranti di Sos Mediterranée, ma il governo parigino temporeggia. Ad ora non è ancora arrivato un via libera ufficiale allo sbarco in Francia.

Le Ong sul piede di guerra

Anche dall’altro lato però ci si prepara allo scontro frontale. Le Ong hanno già annunciato ricorsi al Tribunale civile e al Tar sia per far sbarcare tutti i migranti sia per contestare l’obbligo firmato dal governo che intima loro di lasciare il porto subito dopo aver consegnato “fragili e minori”. La soluzione della crisi di questi giorni, con l’approdo a terra di tutti gli stranieri a bordo della Humanity e della Geo Barents, non fermerà i legali delle Ong. Lo ha detto chiaramente Riccardo Campochiaro, legale della ong Humanity One e presidente del Centro Astalli di Catania. “Abbiamo due profili – ha spiegato il legale – il primo è legato al diritto soggettivo di poter avanzare richiesta di asilo politico nel Paese in cui si arriva”. Secondo le Ong chiunque entra in acque nazionali deve poter chiedere asilo al Paese e non deve farlo sulla nave. “L’altra impugnazione, che sarà al Tar del Lazio, si basa sul presupposto che l’ordine di lasciare le acque italiane si può dare solo quando c’è un ingresso non autorizzato o quando il salvataggio non viene comunicato”. Le Ong sostengono di informare sempre l’Italia visto che Malta non risponde quasi mai alle richieste. Si sentono nel giusto. E quindi non si fermeranno qui.