Politica

La strage delle divise. L’elenco che Raimo non vi fa vedere

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È la notte del 27 marzo del 2020. Napoli. Alle quattro del mattino Pasquale interviene per sventare una rapina in corso in banca. I malviventi si danno alla fuga e speronano la volante guidata da Apicella, agente scelto, 37 anni, due figli di cui una di pochi mesi. L’impatto non gli lascia scampo mentre il collega di pattuglia, Salvatore Colucci, viene ferito in modo grave.

Catania. 15 gennaio del 2019. Angelo Spadaro presta soccorso ad un incidente in autostrada nel bel mezzo di un nubifragio. La volante ha tutti i lampeggianti accesi ma un camion la tampona provocando il disastro: il collega salta nel burrone oltre il guardrail, Angelo non fa in tempo: lo spigolo del rimorchio dell’autoarticolato lo urta, uccidendolo. Aveva solo 56 anni.

Sono le 8.25 del 2 marzo 2003. Una pattuglia in servizio a Terontola-Cortona sale sul treno Roma-Firenze per effettuare una tranquillissima scorta dei viaggiatori. Routine. Durante il viaggio, gli agenti notano alcuni passeggeri sospetti, un uomo e una donna: quando chiedono loro i documenti, poi risultati falsi, i malviventi tirano fuori un’arma, la puntano al collo del sovrintendente Emanuele Petri, ne nasce un conflitto a fuoco in cui Mario Galesi colpisce alla gola il poliziotto e lo ammazza. Da quel controllo, e dal successivo arresto di Nadia Desdemona Lioce, inizia l’indagine che porterà, in breve tempo, allo smantellamento delle Nuove Brigate Rosse responsabili degli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi.

Bellano, Lecco, anno 2017. Francesco Alfredo Pischedda è in servizio la sera del 2 febbraio quando inizia un inseguimento per fermare un veicolo rubato con diverse persone a bordo. Il Ducato sbatte contro il guardrail, i malviventi scappano nelle campagne circostanti, Alfredo si mette “generosamente” alla caccia di uno dei fuggitivi: nasce una colluttazione e l’agente cade da un dirupo alto 10 metri. Muore il giorno successivo, all’1.50 di notte, nonostante i numerosi interventi chirurgici. Lascia la moglie Anna e la bimba piccola, di circa nove mesi.

Il lettore ci scusi per la lunga, seppur non esaustiva, sequela di racconti. Sono però le storie, spesso dimenticate, di cinque appartenenti alla Polizia morti per causa di servizio. Padri. Mariti. Compagni. Servitori dello Stato. Direbbe Pasolini, “figli dei poveri” che si alzavano ogni giorno per garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti, compresi gli intellettuali impegnati, consapevoli che molte cose in un giorno sfortunato possono non filare lisce. Come è poi successo.

Perché parlarne oggi? Perché da una settimana, dai fatti di Pisa in poi, quei “figli dei poveri” vengono descritti come manganellatori, accusati di ogni nefandezza, delegittimati, fianco accusati di essere una sorta di banda di assassini in diretta tv nazionale.

Difficile dire se Christian Raimo, oltre ad investire il tempo per redigere il suo elenco di presunti “bravi ragazzi” uccisi dalle forze dell’ordine, abbia avuto modo di farsi un giro nel sacrario virtuale della polizia di Stato. Quando è stato aperto, nel 2004, conteneva 2388 lapidi, da quella di Felice Conti – morto nel 1960 a Milano mentre portava in questura alcuni criminali – a Stefano Biondi, caduto in servizio in autostrada nel 2004. Oggi nel sacrario ci sono almeno 2515 lapidi, anche se sono inclusi pure gli uomini in divisa caduti in guerra. Da una verifica spannometrica, comunque, dal 1948 in poi si contano circa mille poliziotti deceduti, di cui 85 dal 2000 ad oggi, tragico bollettino che non tiene conto dei Carabinieri o di altri corpi: addii recenti, silenziosi, su cui è calato un tragico velo di dimenticanza.

Per comprendere il fenomeno, lo “storico” Raimo potrebbe leggersi “Guardie”, il libro che raccoglie 104 ricordi delle vittime in divisa del terrorismo. Oppure potrebbe andare a spulciarsi un po’ di dati veri, anziché citare a sproposito Carlo Giuliani, inserito nell’ignobile elenco anti-polizia, dimenticando che la morte del “ragazzo” in piazza Alimonda a Genova lo si deve al suo tentativo di scagliare un estintore addosso a un carabiniere intrappolato all’interno del defender dell’Arma preso d’assalto dai black bloc. Mario Placanica, giusto per amor di verità, è stato assolto perché agì per legittima difesa.

Capiamo le difficoltà, sia chiaro. Non è facile ricostruire con esattezza il numero di agenti delle forze dell’ordine caduti in servizio negli ultimi anni. Non esiste un elenco ufficiale preciso, e spesso i motivi del decesso sono così variegati, provocati da condizioni particolare, che risulta pure complicato radunarli in una statistica precisa. Occorre affidarsi all’occhio, un po’ come col cartellone di Raimo. Esiste tuttavia una tabella, che va dal 1961 al 2019 circa, con tutte le “vittime del dovere” della Repubblica. Lo pubblica il ministero dell’Interno e raccoglie morti e feriti a cui lo Stato corrisponde una indennità: poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, forze armate, privati cittadini o dipendenti pubblici che hanno riportato lesioni in operazioni di soccorso, nella vigilanza a infrastrutture militari o civili, durante attività di contrasto alla criminalità, di ordine pubblico o di prevenzione di reati. Una lista nera più lunga di quella redatta da Raimo e che supera di gran lunga le 2mila unità tra morti e feriti, di cui almeno 711 decessi.

Non si tratta, però, di un elenco esaustivo. Mancano quegli “eroi” con le stellette per i quali non è stata fatta richiesta formale di rientrare tra le “vittime del dovere”. Storie. Famiglie. Vite. Raimo passi un paio d’ore a spulciare il sacrario della polizia di Stato prima di inveire contro di loro e chiederne il disarmo. Rivedrà le sue convinzioni, forse. In fondo solo gli stolti non cambiano idea.

Giuseppe De Lorenzo, 1 marzo 2024

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