Politica

Da Renzi e Mario Draghi

L’Italia è una Repubblica fondata sui bonus

Cinque motivi per cui i bonus sono contrari all’idea di lavoro e alla cultura liberale

Politica

Da una parte, si potrebbe dire celiando, ma non troppo, che la nostra sia diventata una Repubblica non più fondata sul lavoro, ma sui bonus; dall’altra, se ne potrebbe logicamente dedurre che i Padri costituenti inorridirebbero perché l’idea del bonus è la perfetta antitesi del concetto morale di lavoro a cui essi pensavano quando formularono quel primo articolo della nostra Carta fondamentale. 

Dove questa storia dei bonus sia nata, è abbastanza evidente: fu col fatidico assegno di 80 euro che il governo di Matteo Renzi concepì e attuò per meri e “populistici” obiettivi di consenso nel proprio bacino elettorale di riferimento (che per il Pd era e resta, anche ora che il senatore di Rignano ha cambiato casacca, quello impiegatizio e statale). Non c’è però dubbio che sia stata  in questa legislatura, in un crescendo che unisce i due governi di Giuseppe Conte a quello attuale di Mario Draghi, che il Bonus è diventato il vero feticcio o totem della politica italiana. È in questo  “brodo primordiale” che i Cinque Stelle hanno sguazzato a meraviglia, con rutti gli altri che, a dire il vero, si sono senza troppe difficoltà adeguati. Le polemiche di questi giorni sulla necessità di revocare o no il bonus sui lavori di ristrutturazione edilizia, oppure sulla cumulabilità del bonus di disoccupazione con il “reddito di cittadinanza”, ne sono il surreale epifenomeno. 

Perché il bonus come concetto sia antitetico all’idea moderna di lavoro, nonché alla cultura e sensibilità liberale, provo a dimostrarlo qui brevemente in cinque punti.

1. Il lavoro è stato dalla nostra civiltà concepito sempre più come un modo di promuovere la dignità umana e la realizzazione personale. L’idea  che la società, o lo Stato, possa accudirti e preservarti indipendentemente da quello che tu sei e fai, non solo deresponsabilizza ma invoglia a non fare nulla per uscire dallo stato di “protetto” in cui ci si è cacciati. Quindi, atrofizza la creatività e la voglia di impegnarsi, riducendoci a una sorta di “pecore” docili e svogliate. Il bonus è solo apparentemente un amico del debole: lo è molto più del Potere.

2. Lo Stato, incapace di risolvere alla radice i problemi, cioè prima di tutto disegnando un quadro generale nel cui spazio gli individui e la società possano muoversi liberamente, si affida a procedimenti ad personam che, rispetto all’universalità che dovrebbe essere propria della sua azione, favoriscono le lobby e le minoranze organizzate che sanno meglio muoversi o che sono più funzionali a certi giochi di potere o alle ideologie. Addio Stato di diritto! (continua a leggere a pagina 2)

 

3. È evidente che quello che il potere pubblico dà con una mano, deve togliere con l’altra, per parafrasare il titolo di un provocatorio libello contro le tasse scritto qualche anno fa dal filosofo tedesco Peter Sloterdjik. Una tale azione, in nome della giustizia, non può che creare altre e più profonde ingiustizie.

4. dalla proliferazione bulimica dei bonus ne esce vieppiù accentuato e rinforzato Il processo di regolamentazione e razionalizzazione, che è la cifra ma anche la croce del moderno, perché significa standardizzazione, omologazione, uniformazione, burocratizzazione. Il politico, o meglio il burocrate al potere, si sente in diritto di rimodellare la società appunto dando e togliendo, muovendo le pedine come in uno scacchiera in nome di un’idea astratta di bene che finisce quasi sempre per essere un male per la società intera e per ogni singolo individuo. È la mania costruttivisica e ingeneristico-sociale, che i padri del liberalismo  anche tanto criticato, che grazie ai bonus trova la sua apoteosi.

5. Se ogni desiderio diventa un diritto, e se ogni diritto va assecondato con un bonus dallo Stato, a patirne è la stessa coesione sociale, quell’adesione alle comuni regole del gioco che impone che ad ogni diritto corrisponda un dovere e ad ogni domanda un offerta del mercato. Sarebbe un dovere cercarsi un lavoro per guadagnare, ad esempio non lasciando scoperti quest’estate i posti di cameriere e cuoco in albergi e ristoranti italiani. Con grave danno per quella già tanto difficile ripresa del turismo italiano.

Corrado Ocone, 8 maggio 2022

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