Politica

L’Ue vuole vietarci di vendere e affittare le case non “green”

La direttiva choc della Ue che mina il mercato degli immobili

case unione europea

Fra qualche tempo la Commissione europea, per tagliare la testa al toro, proporrà direttamente l’introduzione del reato di “possesso di immobile”. Ci si scherza, ma c’è poco da ridere. L’ultima che arriva dai palazzi di Bruxelles, infatti, non lascia per nulla spazio al buonumore. Si tratta di una proposta di direttiva – che Confedilizia sta seguendo (e contrastando) attraverso l’Uipi, l’organizzazione internazionale della proprietà immobiliare nella quale rappresenta l’Italia – con cui si intende addirittura vietare la vendita e l’affitto degli immobili che non abbiano determinate caratteristiche dal punto di vista del rendimento energetico.

La motivazione, come accade sempre in questi casi, è alta e nobile: la tutela dell’ambiente, meglio nota ultimamente con l’abusatissima parola magica “green”. Per rendere il mondo un posto migliore, dunque, occorre che quegli inquinatori incalliti dei proprietari di casa si adeguino al Verbo dell’Europa e provvedano a rendere i loro immobili super-efficienti sul piano energetico.

Quindi – secondo la proposta di direttiva Ue – ciascuno Stato membro dovrà stabilire “standard minimi” di prestazione energetica degli edifici, che l’intero parco immobiliare nazionale dovrà raggiungere entro il 2035. In più, gli Stati dovranno garantire – tradotto: imporre – che gli edifici e le unità immobiliari vendute o affittate (ad eccezione delle unità immobiliari in condominio, che hanno altri termini) raggiungano: almeno la classe di prestazione energetica E per un’operazione che ha luogo dal 1° gennaio 2027; la classe di prestazione energetica D per un’operazione che ha luogo dal 1° gennaio 2030; la classe di prestazione energetica C per un’operazione che ha luogo dal 1° gennaio 2033.

In alternativa, vi può essere l’impegno dell’acquirente ad adeguarsi entro tre anni agli standard di riferimento. Per gli immobili in condominio, le tre date slittano – rispettivamente – al 2030, al 2035 e al 2040 (senza possibilità di adeguamento entro i tre anni).

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