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Pa, assunzioni con un inghippo

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di Valerio Malvezzi

Un milione e 200 mila persone, pari all’intera città di Milano per comprendere le proporzioni: sono questi i numeri dei giovani disoccupati tra i 15 ed i 34 anni (fonte Istat). Si tratta di una piaga che rappresenta tutti i limiti dell’istruzione italiana: la stessa istruzione alla quale il precedente Governo decideva di destinare 28 miliardi di euro con il “Piano Nazionale Ripresa e Resilienza”, equiparandola – per cifre e non sicuramente per nobiltà dell’intervento, non me ne vogliate – alla missione di “inclusione e coesione sociale”.

Addio meritocrazia

In questo contesto, con l’articolo 10 del Dl n. 44 del 1° aprile 2021 approvato ed in vigore da mercoledì 7 aprile si abbatte una scure sul futuro di centinaia di migliaia di giovani, prevedendo che, per le assunzioni di personale mediante concorsi pubblici il reclutamento potrà prevedere “una fase di valutazione dei titoli e dell’esperienza professionale ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali”. Tradotto: addio a meccanismi premiali, addio opportunità per i neolaureati, addio concorsi con procedure di esame, addio selezione, addio meritocrazia.

Ma ragioniamo per punti: dal momento che per quasi un anno non c’è stata la possibilità di effettuare concorsi della pubblica amministrazione in presenza, vi è la necessità di ridurre i tempi di reclutamento del personale, semplificando l’iter. Soluzione pensata dal “Governo dei migliori”: smantelliamo la precedente impalcatura, introducendo la valutazione dei titoli e dell’esperienza professionale, al posto di valutare le nuove assunzioni mediante l’assegnazione di prove tematiche, certamente meritocratiche ed imparziali. Al riguardo, osservo che la Costituzione italiana all’articolo 97 prevede al quarto comma “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Tanto semplice quanto chiara la nostra Costituzione, che più volte abbiamo visto violata nel corso dell’ultimo anno. Come non essere d’accordo con la stessa, quando il legislatore aveva pensato al concorso pubblico quale fondamento di una Pubblica amministrazione nella quale “siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art. 97, comma secondo)? Nemmeno il Decreto legislativo n. 29/93 arrivò a tanto, quando introdusse una serie di norme con un solo obiettivo: individuare nuove modalità di inserimento di personale nella Pa, lasciando così maggiore autonomia nelle scelte di personale “selezionato”.

Una beffa per migliaia di giovani

Il nuovo Decreto supera ogni altro tentativo precedente, con il pretesto dell’emergenza, adeguatamente strumentalizzata per prevaricare dei principi di buon senso, ma non solo: possiamo così scomodare gli articoli 3, 4, 10 della Costituzione, che parlano di pari dignità sociale e diritto al lavoro. Come ignorare i principi meritocratici, infine, che certamente non devono basarsi sulle possibilità economiche né sulla maggiore esperienza derivante dall’età anagrafica? Tanti giovani italiani si stavano preparando alle prove, e ora vedono sfumare anni di studio, perché l’esperienza pregressa vale più della preparazione. Sì, perché le riforme riguardano anche i concorsi già banditi. Si tratta di centinaia di migliaia di giovani che hanno scelto un percorso di studi non allineato al pensiero comune, che li vorrebbe tutti economisti, giuristi o ingegneri, perché siamo nell’“età della tecnica”, e quindi è indispensabile studiare solo qualcosa di utile.

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