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Pari dignità al voto “di pancia”

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“Ovunque il guardo giro”, che legga articoli e saggi sul Covid-19 o sul populismo, sulle elezioni in America o sui cambiamenti climatici, mi capita di provare un disagio profondo che nasce dalla ricorrente constatazione della mancata secolarizzazione del discorso politico.

Voti buoni e voti cattivi

Con questa espressione mi riferisco al fatto che la metaforica lavagna che sui giornali, nelle tv, nelle aule scolastiche divide i ‘buoni’ dai ‘cattivi’ è sempre lì, più lucida che mai, con la sua ardesia inattaccabile dal tempo e dai mutamenti ambientali. Tutti coloro che non la pensano come noi stanno sul lato sinistro della lavagna mentre noi, benpensanti, ci ritroviamo sempre sul lato destro.
Quando manca la ‘buona educazione’, gli altri sono fascisti, razzisti, psicopatici («Il sovranismo è una malattia mentale», ha scritto Massimo Recalcati); quando la civiltà ingentilisce i costumi, gli altri diventano persone che ‘votano con la pancia’.

C’è qualcosa che non va in questa classificazione. Da più di un secolo ovvero da quando la stampa è diventata uno strumento potente di informazione ma anche di formazione dell’opinione pubblica, si sente ripetere che gli uomini sono esposti passivamente a messaggi, spesso subdoli, che li portano ad adottare comportamenti finalizzati non ai loro interessi ma a quelli dei ‘persuasori occulti’ ovvero delle autorità temporali e spirituali, delle classi sociali, delle caste che si servono delle masse per allargare il loro potere.

Oggi i padroni della Rete hanno preso il posto dei ‘Grandi Fratelli’ di una volta ma il quadro non è mutato: da una parte, ci sono quelli che sanno cosa vogliono e hanno risorse per ottenerlo; dall’altra, gli individui eterodiretti che non sospettano di essere strumentalizzati. In un mondo incerto e complesso come il nostro, si vedono nelle paure diffuse ad arte dai potenti le leve infallibili per conquistare la fiducia del popolo sovrano. È un ‘racconto’ che non ho mai trovato persuasivo. Ho fatto a tempo a conoscere persone che nel 1924 avevano votato per il listone nazionale fascista e che non mi sono parse ingenue e sprovvedute; ho conosciuto proletari, elettori dei partiti della classe operaia, che argomentavano in maniera più che convincente le loro fedeltà; ho conosciuto atei liberali che votavano per la Dc, sulla base di considerazioni tutt’altro che sballate. A questo punto, mi sono chiesto, non sarebbe il caso di riflettere sul significato che diamo all’espressione ‘scelta razionale’?

Una scelta è razionale se si ispira a valori buoni? E quali sarebbero i valori buoni: la libertà? l’eguaglianza? La giustizia sociale? L’ordine politico: per Hobbes fondamento di tutti gli altri? Purtroppo – a causa del legno storto dell’umanità – i valori non sempre riescono a conciliarsi e capita non di rado che se ne debba sacrificare qualcuno a un altro che ci sta più a cuore. A molti elettori del Pfn, forse, non piaceva che venissero soppressi gli altri partiti ma per loro i treni in orario erano più importanti del Tribunale Speciale (se dai treni in orario dipendeva il loro lavoro). Una scelta è razionale per le conseguenze che ne derivano? Ammettiamolo pure, ma nell’imprevedibilità delle faccende umane, come si fa a stabilirlo? Nel 1924 chi poteva prevedere che ai primi dieci anni in cui il regime fascista salvò la comunità nazionale dall’anarchia in cui era sprofondata nel primo dopoguerra ne sarebbero seguiti altri dieci in cui si preparava la irrimediabile finis Italiae e la ‘morte della patria’ dell’8 settembre?

Periferie salviniane

Una scelta è razionale per i mezzi ritenuti idonei al conseguimento dei fini voluti? Si dirà, ad esempio, che l’abitante della periferia degradata (dall’afflusso di extracomunitari senza lavoro e alla mercé della malavita organizzata) che vota per la Lega commette un errore perché non sarà Salvini a risolvere i suoi problemi? È più che probabile che non lo sarà: ma chi altri, al posto suo, ha una ricetta realistica contro il degrado del quartiere? Una scelta è razionale se ‘lungimirante’, se promuove, attraverso l’inserimento del Paese in una più ampia rete di relazioni internazionali (Europa, globo), il suo progresso materiale e il suo benessere sociale? Già ma le rivoluzioni economiche non rappresentano per tutti un vantaggio sui tempi che contano – quelli di una generazione: le ‘benedizioni della modernità’ ricadono su tutti dopo molti anni.

Nel frattempo, chi non vede più una prospettiva di vita per sé e per la famiglia, per essere ‘razionale’, deve votare per i partiti e i governi che gliel’hanno tolta? Difendere la propria tana significa votare con la pancia? Si può legittimamente pensare che il sovranismo non sia una soluzione. Ma chi ha in tasca quella giusta ovvero chi è in grado di attuare politiche che facciano gli interessi sia dell’ “elite cosmpolita”, che si trova a suo agio a Milano come ad Amsterdam, sia dei tanti costretti a chiudere bottega e bancarella a causa dei supermercati e delle multinazionali?

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