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Perché lo sceriffo De Luca non fa più ridere

Distinguere Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, dalle tantissime parodie che circolano sul web è impossibile. L’originale rimanda alla parodia e la parodia all’originale. L’effetto è straniante perché non si sa più dove sia la realtà e dove la finzione, dove si deve inorridire e dove si deve ridere. Ci siamo divertiti un po’ tutti quando Maurizio Crozza iniziò a imitarlo e caricaturarlo in televisione, ma oggi che il presidente è davvero diventato una sorta di nuovo viceré spagnolo del Regno non più di Napoli ma di Salerno il riso è diventato non solo amaro ma anche diabolico.

Basti considerare un solo aspetto: le ordinanze restrittive della libertà di un semplice presidente di regione che tutti, ormai, per esaltarlo o per irriderlo, chiamano “sceriffo”, non sono per nulla osteggiate dal governo Conte. Tutt’altro. Il governo Conte ostacola e impugna le ordinanze motivate che vanno nel senso dell’apertura, della ripresa della normalità e, insomma, del ripristino dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, come nel caso della Calabria e del Veneto, ma nulla dice e in sostanza è favorevole alle ordinanze immotivate che vanno verso una maggiore chiusura, che limitano ancor di più la vita pubblica e privata dei sudditi, che fanno carta straccia della Costituzione e che minacciano, come fa lo “sceriffo” con i suoi video, i runner definiti “cinghialotti che andrebbero arrestati per oltraggio al pudore”. Detto in due parole: il governo Conte è favorevole a chi nega la libertà ed è contrario a chi afferma la libertà.

La situazione nella quale ci troviamo non fa per nulla ridere. Continuare a ridere o prendere sottogamba un personaggio come Vincenzo De Luca è un grave errore. Non è nemmeno il caso di definirlo “personaggetto”, secondo il vocabolario deluchiano. Non solo. Credere di affrontare il fenomeno De Luca con la miope se non addirittura cieca contrapposizione tra Nord e Sud significa non capire che si sta facendo il classico gioco vittimistico delle classi dirigenti meridionali che indicano un avversario o un nemico esterno – il Nord, i Piemontesi, i Savoia, gli industriali, Roma, l’Europa – per nascondere i propri fallimenti e le proprie responsabilità. Si tratta, in altre parole, di una sorta di leghismo capovolto per il quale andrebbero proprio a pennello le stesse parole della canzone di Pino Daniele “questa Lega è una vergogna” se non fossero parole e musica di una canzonetta che dovremmo ancora avere la cultura di considerare, appunto, solo una melodia scacciapensieri. Purtroppo, questa cultura e la sua corrispondente vita civile non le abbiamo più. Ecco perché aveva ragione Norberto Bobbio quando scrisse su La Stampa di Torino: “Per me, ormai, la questione meridionale è diventata da molto tempo la questione dei meridionali”.

È questo il motivo per il quale De Luca si è appuntato con grande facilità la stella da sceriffo sul petto? Certo, anche per questo. Perché nessuno lo critica sul punto. Perché nessuno lo riporta alle sue precise responsabilità e ai suoi compiti di amministratore. Perché il suo partito, il Pd, è forte con i deboli e debole con i forti e grida “al lupo, al lupo” ossia “al fascista, al fascista” quando si tratta di dare addosso a uno che sta dall’altra parte e ubbidire così alla legge della giungla del conformismo di sinistra ma diventa subito un agnellino quando il lupetto ce l’ha in casa e lo accarezza per il verso del pelo. Del resto, la Campania è amministrata da decenni a Palazzo Santa Lucia e a Palazzo San Giacomo dalla sinistra e la cappa di conformismo è così asfissiante da far apparire la lontana epoca democristiana come un esempio di democrazia e di pluralismo in cui si discuteva, si criticava e a nessuno saltava in mente di demonizzare gli avversari o il necessario dissenso.

Allora, per stare sul punto. Il presidente De Luca ha firmato una nuova ordinanza in cui rende obbligatorio l’uso delle mascherine appena si esce da casa e anche se ci si trovasse nel deserto. Diciamolo con chiarezza: non è questo il compito della Regione e non è questo il compito di nessun amministratore. Il presidente della Regione non decide delle vite degli altri che sono tutelate dalla Costituzione. Il suo compito è un altro: garantire il servizio sanitario e approntare una strategia da sorveglianza attiva su scala provinciale per controllare l’epidemia sul territorio con tamponi, positivi, isolamento, tracciamento per fare in modo che gli eventuali malati non approdino negli ospedali e siano tenuti il più possibile lontani dalle stesse sale di terapia intensiva. Questo è il lavoro che De Luca deve fare. Lo ha fatto? Sono passati tre mesi dalla dichiarazione governativa dell’emergenza sanitaria. I campani, per stare al caso napoletano – quindi napoletani, salernitani, casertani, beneventani, avellinesi – hanno fatto tutti la loro parte. E se escono, se corrono, se visitano i genitori, un figlio, un amico o chi pare loro non devono per alcun motivo essere criminalizzati dal rappresentante dell’istituzione che, invece, ha il dovere di garantire loro libertà civile – perché grazie al cielo quella morale e quella intellettuale ognuno la garantisce da sé – e un servizio sanitario efficiente.

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