Con la morte di Papa Francesco, un aspetto molto importante ma ignorato, forse anche volutamente, è il confronto che la Chiesa cattolica e, in particolar modo il Pontefice, ha con la ragion di Stato e, quindi, conseguentemente, con il potere temporale. È vero che il Papa rappresenta, per i cattolici, il Vicario di Cristo sulla terra, e che esercita, quindi, una rilevante influenza spirituale, tale da renderlo simile a Dio, però non va trascurato il fatto che questi è un Capo di Stato, o meglio di una Monarchia assoluta e teocratica anche se elettiva.
Ebbene sì, la Città del Vaticano è uno Stato assoluto, tanto è vero che non esiste la separazione dei poteri né tantomeno è sancito il principio di uguaglianza. Tuttavia, sebbene non esistano partiti politici, è inutile negare che il Pontefice ha sempre svolto, nella storia, attività politica, esercitando, di fatto, un potere – anche mediatico – nel dibattito pubblico sia italiano che internazionale. A dirla alla Machiavelli, il Papa persegue, quindi, una vera e propria “ragion di Stato”.
Sappiamo bene, infatti, che il conflitto tra morale e politica viene riproposto continuamente nella storia umana, suscitando molti interrogativi sulla natura del potere e sui suoi limiti. Questo accade anche per il Vicario di Cristo, nella propria qualità di monarca assoluto di uno Stato che è anche soggetto di diritto internazionale (a tal proposito va specificato, però, che è la Santa Sede ad esercitare la sovranità sulla Città del Vaticano, oltre ad essere il vero soggetto di diritto internazionale dello Stato).
A riguardo, è bene ricordare che, fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha mostrato una certa diffidenza verso i meccanismi della Chiesa cattolica tradizionale, abbandonando, per certi aspetti, i valori teologali classici per abbracciare principi più vicini, potremmo dire, ad una religione contemporanea e progressista, con lo scopo di sensibilizzare il Populus Dei verso temi quali l’ambientalismo e l’immigrazione. In poche parole, Papa Francesco sembra aver sostenuto profondamente l’ideologia woke, provando, anche forzatamente, di reinterpretare le Sacre Scritture attraverso l’introduzione di una nuova religione, con il tentativo di sostenere nuovi modelli spirituali che, spesso, sono sembrati in evidente contrasto con la religione Cattolica tradizionale. Questo è il motivo per cui Francesco è stato ritenuto, soprattutto da una determinata area politica, il Papa di tutti e, in particolare, degli ultimi.
Ma, a ben vedere, la reinterpretazione dei valori cattolici in chiave progressista di Francesco non rappresenta altro che la “sua” ragion di Stato, un mezzo efficace e, soprattutto, in voga per conservare il potere dello Stato Vaticano attraverso l’allontanamento dai principi tradizionali e la loro sostituzione con valori sicuramente più “alla moda”. E, infatti, è riuscito a farsi apprezzare anche dagli atei e dai comunisti. È necessario, pertanto, saper distinguere la spiritualità dalla temporalità e dalla politica, cosa che, purtroppo, molti non riescono a fare. Papa Francesco, con il suo progressismo, non ha fatto altro che attuare il proprio indirizzo politico, anche a livello internazionale: in poche parole, come Capo dello Stato Vaticano ha difeso la sua ragion di Stato.
Quindi, è palese come, per lo Stato Pontificio, il problema sia sempre lo stesso sin dai tempi di Dante Alighieri. Si tratta del tentativo, cioè, da parte del Vicario di Cristo di fare in modo che il potere temporale sia dominato da quello spirituale. E, con rammarico, devo dire che ancora oggi molti fanno fatica a comprendere la differenza – per la verità non molto sottile, anzi – tra i “due Soli”, cioè tra quello divino e spirituale e quello politico e temporale.
Giovanni Terrano, 27 aprile 2025
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