Politica

Quello che Fassino non dice a noi poveri plebei

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Chi l’ha visto ride, magari amaro e invece c’è una sorta di paura cupa, millenarista nel Fassino lugubre, millenarista che agita il cedolino parlamentare e dice: meno di 5mila euro al mese me lo chiamate un lusso? No è stipendio dignitoso ma non lussuoso e finiamola con il luogo comune dei politici ricchi. Fassino, il lungo, a suo modo ha ragione: la ricchezza è altro, oggi cinquemila euro sono sì e no il mensile di un manager di calibro medio-basso. Ma omette di precisare che il cedolino è solo la minima parte di un portafoglio privilegiato con cui un parlamentare arriva, tutto considerato, ai quindici, diciotto mila euro al mese e allora le cose cambiano; e cambiano di più se si aggiungono gli altri omaggi quali i ristoranti e i viaggi fortemente scontati se non gratuiti per gli eletti dal popolo che invece lo sono dai partiti.

Un’altra cosa omette di dire l’ex segretario Ds, oggi parlamentare semplice, anzi due: la prima è che questo stipendio determina un vitalizio sul quale la politica non cederà mai, al grido “bando alla demagogia!”, che sarebbe il malloppo ce l’abbiamo e guai a chi ce lo tocca; e che il malloppo lo paga la collettività dei cittadini. Che sarà anche una osservazione qualunqustica, ma resta in attesa di smentita.

Per cosa? Una somma non è indice di ricchezza di per sé, va commisurata alla funzione, quello che un tempo si chiamava merito e che la sinistra tiene in fama di classismo mentre la destra classista lo ha subito archiviato mentre sosteneva di volerlo riprendere. Insomma i cinquemila euro netti, diecimila lordi, diciottomila tutto compreso, per fare cosa, per arricchire in cosa la vita del paese che li fornisce a un numero di eletti contenuto ma non così esiguo se si calcolano le migliaia e migliaia di aventi e anche non aventi diritto, ma che comunque lo percepiscono?

A queste domande Fassino, il lungo, il lugubre, non fornisce risposta e non si sofferma sulla plebe che cinquemila euro non li vede in anni di stenti e quindi s’incazza: lui agita il cedolino e dice “finiamola con la demagogia”. E ci senti la scomparsa definitiva delle certezze marxiste, ci senti la presa d’atto, con relativo terrore, di una società post marxista, post capitalista, post tutto, che non solo in Italia ma particolarmente in Italia ha lasciato le cose divise, spaccate come mele: quelli che i soldi ce li hanno ancora e li avranno sempre, come i redditieri, come gli Alain Elkann, quelli che hanno trovato il modo facile di farli, come gli influencer o i grandi ladri; e gli altri che non li faranno mai e sono in vertiginosa crescita e non si aspettano più niente.

Questi nuovi lanzichenecchi sono la sconfitta della cattedrale marxista che due secoli di propaganda ci hanno imposto come una religione laica nobile, egualitaria quando era invece il culto della ricchezza da raggiungere anche con la violenza, con la rivoluzione. Ma di ricchezza da distribuire o redistribuire non ce n’è più e lo sanno anche i vecchi arnesi stalinisti. La civiltà del terrore e dell’isteria, a vederla bene, è la sconfessione dell’ottimismo sia capitalistico che di quello progressivo socialista; e nell’ansia genetica non si progetta, non si chiede né si aspetta nulla, gli stessi teppisti climatici bloccano e smerdano al grido apocalittico “siamo tutti morti, il nostro tempo è finito”. Mettono in scena la distruzione non creatrice che fa comodo a chi li paga, pochissimo, più che altro li illude e sono i soliti dei guadagni colossali e selvaggi, oggi riconvertiti in filantropi. Ma la verità è che ogni pretesto è buono per rinunciare, per disperare e questo anche un funzionario lugubre, un apparatchik come il compagno Fassino lo sa.

Nel suo grido di dolore e di orrore si rispecchia, ricordate, quello più snobistico della compagna Cirinnà con la sua tenuta e il ristorante rurale, che è una intrapresa commerciale capitalista con la copertura del sociale; e si rispecchia, facciamoci caso, la pretesa eversiva di quelli che vedono sfuggirgli il reddito di cittadinanza, come a Napoli dove lo percepisce uno su sei, di preferenza lazzari e camorristi: d’accordo, non mi spetta, ma adesso che ce l’ho prova a togliermelo e io ti taglio la gola. Proprio così hanno mandato a dire alla Meloni che in realtà non toglie niente, fatti vedere e avrai la gola tagliata.

Che nell’Italia europea, ricattata dai piani usurari europei, non possa avere luogo una misura già costata, secondo stime approssimative, 30 miliardi in 4 anni, di cui almeno un paio in truffe, che l’economista Draghi aveva prorogato per dieci anni a 10 miliardi di aggravio di spesa l’anno, non interessa a nessuno. Ma il nostro banchiere l’aveva fatto, carognescamente, per lasciare la rogna in mano alla Meloni che gli sarebbe succeduta. Adesso la trottolina Giorgia dovrebbe sfoltire, razionalizzare, ma la sinistra che si è fatta sedurre dal capitale e ha perso completamente l’imbarazzo nel rivendicarlo, cambia idea come una livrea e le spedisce i suoi pizzini di sapore brigatista. Non siamo mai usciti dalla crisi Wall Street del 2008 che fu per il capitalismo quello che il crollo del Muro fu per il comunismo e da allora viviamo nell’incertezza, mitigata da una sola certezza: comunque andrà, andrà peggio. Anche perché la UE delle Ursula dei Timmermans e delle megatransizioni truffaldine non lascia scampo.

E così i Fassino di lungo corso parlamentare, come i balordi in ecoansia dei centri sociali, come i parassiti del reddito di cittadinanza, sciolgono il nuovo rosario del comunismo millantato e armocromista: si salvi chi può, quello che mi spetta non lo mollo neanche se non mi spetta, neanche se lo paghi tu che affondi. Se ti pare fattela la rivoluzione armata, se no resta davanti alla televisione, a Internet ma sappi che nella fine degli ismi che hanno inzuppato di sangue e di miraggi il mondo non resta più niente da lottare né da sognare e con cinquemila euro chi può campa come può e chi non li ha resta chiuso in casa ad aspettare un sussidio al quale cambiano nome di continuo ma per il quale lasciano controlli laschi e farlocchi perché la plebe devi pur camparla, perché l’incendio della prateria è peggio, perché nel capolinea anche del capitalismo come cornucopia, l’alternativa è tra il bene rifugio della politica estetica e parassitaria e la rassegnazione parassitaria da follower di Chiara Ferragni.

Max Del Papa, 3 agosto 2023