Cultura, tv e spettacoli

“Salvate la soldata Chiara”, arriva Fazio in soccorso alla Ferragni

Il conduttore di Che tempo che fa si espone in difesa dell’influencer ma solo perché fa parte del suo circoletto

© YiuCheung tramite Canva.com

Chiara Ferragni, la influencer, piace ai follower: già, è personaggio da cartone animato, la sua inespressività tragica ricorda la bambola Barbie, in fortuna come nelle avversità. Chiara Ferragni piace anche ai ricchi aproblematici, quelli che pesano i soldi, mai il modo di farli. Chiara Ferragni piace anche alla sinistra moralista che ne apprezza l’evoluzione dall’avidità un po’ gretta, provinciale da “Blonde Salad” all’avidità consapevole del capitalismo woke che sarebbe “fate quello che dico non fate quello che faccio”, anche perché non vi riesce. Chiara Ferragni piacerebbe anche a Fabio Fazio che “out of the blue” le spezza la lancia. Dico piacerebbe perché la sua difesa d’ufficio è tutta da interpretare a partire dagli argomenti, pesanti come fumo: poverina, quanto odio da tastiera, quanta invidia sociale, in fondo che avrà mai fatto di male, è stato solo un incidente.

Così al moralismo amorale piace chiamare un paio di finte campagne solidali col pretesto della beneficienza ai bambini mentre la influencer, o imbonitrice, per aver concesso la faccia ha preteso rispettivamente 1 milione, dai pandori di Natale e 1,2 milioni dalle uova di Pasqua. Comportamento, per come è emerso, e se le responsabilità personali e penali verranno confermate, che ha dell’abietto, dell’ignobile; persino del demoniaco: la stessa Wanna Marchi, quella della massima evangelica “i coglioni si inculano”, non aveva osato spingersi così in là. E Fabio Fazio la difende. Mentre la regina dell’immagine si affida ad una agenzia di comunicazione per aggiustare i danni da comunicazione, a partire da quel tragico “ho commesso un errore di comunicazione” che suona tanto come “mi sono fatta beccare”. L’agenzia di comunicazione è diventata imprescindibile, come gli impresari che fanno da cerniera tra la politica pubblicitaria e lo spettacolo industriale: serve a rimettere in sesto l’immagine della fata rivelatasi improvvisamente strega o, eventualmente, a spremere fiction, quindi soldi e magari potere, dalle disgrazie familiari.

E Fazio si espone. Neanche fosse una semisconosciuta qualsiasi del sottoclou televisivo. La butta naturalmente sull’invidia dei poveracci, in quel razzismo classista tipico della sinistra moderna, e butta lì qualche sospetto da prete: volevano fargliela pagare, non aspettavano altro. Come ogni bravo prete, evitando di precisare o almeno alludere al responsabile. Tutto resta avvolto nella cortina allusiva degli odiatori frustrati. Che probabilmente restano interni al partito di riferimenti: la sporca faccenda ha tutto l’odore, mefitico, delle vendette interne al Politburo: passati i bei tempi in cui Baffone poteva far sparire qualcuno e, nei casi più magnanimi, lasciarlo ritrovare in Siberia, la sinistra umanitaria ha trovato il metodo delle purghe mediatiche, degli sputtanamenti, della rimozione per via interna. Roba da comunisti e da preti.

Fazio Fazio non ha mai fatto niente per nessuno, almeno pubblicamente, e se si gioca a sua volta la faccia non può essere un caso né un moto spontaneo: facile indovinarci sotto un lavorìo da sovrastruttura che neanche lo sbianchettamento degli Epstein files, con la massiccia presenza dei Clinton e degli Obama. A questo punto, ogni domanda che puoi farti è lecita: che ci sta dietro l’operazione “salvate la soldata Chiara”? L’agenzia di comunicazione ha già cominciato a funzionare? Si è collegata all’altra agenzia, denominata PD? La Bionda Salata minaccia di parlare, di raccontare come e qualmente il partito voleva candidarla e le ha regalato un pelosissimo Ambrogino d’Oro per meriti sociali, proprio così? C’è da rendere accettabili, o magari da sbianchettare, da archiviare certi scatti all’epoca incongrui, all’apparenza incredibili, oggi imbarazzanti, nientemeno che con Mattarella, al Gran Premio di Monza e poi a Sanremo? Fummo gli unici, per l’occasione, a porci la domanda più ovvia: ma come può una influencer controversa (già allora) usare il Capo dello Stato come un nonno da selfie? E si sentiva già un gran puzzo di sovrastruttura, che oggi, forse, si punta a diradare.

La strategia è nota: qualunque cosa sia successa, comunque sia andata, puntare senza remore sulla beneficenza “che in un modo o nell’altro c’è stata”, cioè negare l’evidenza, come il marito sorpreso a letto con l’amante che dice alla moglie “cara non è come credi”. Dai e dai, come spiegano sempre i gerarchi totalitari di ogni epoca, a forza di ripeterla una menzogna diventa l’unica verità. Perché la beneficenza, per quanto inflazionata e sputtanata, ridotta a una colossale questua diffusa, dalle ong in combutta con gli scafisti al clero che le finanzia, dai carrozzoni di Stato alle intraprese commerciali in tonaca missionaria, mantiene sempre una sua carica moralistica e ricattatoria, basta evocarla, sbandierarla anche – e specialmente – se non c’è. Serve al candeggio immaginario, nella duplice accezione di immaginazione, ossia di miraggio, e di immagine, cioè di trucco, di infingimento. Da fata a strega e da strega di nuovo a fata, è solo una questione di apparenza, di proiezione. Di fumo. Di comunicazione. “Lavati la coscienza con un po’ di beneficenza”, come cantava il Piero Pelù poi finito anche lui nello stesso meccanismo insieme ai compari Ligabue e Jovanotti con una filastrocca “contro le armi”, prodotta all’epoca da una corporation attiva nel commercio mondiale di armi, per vaghe e mai precisate solidarietà africane. Dopo la grande truffa globale di We are the world, i capostipiti all’amatriciana del canzonettismo woke.

Intanto le procure di tutta Italia si palleggiano accuse salate che vanno dalla truffa aggravata alla frode in commercio, e la Finanza avanza. Per non parlare del multone salatissimo, da un milione, alla Signor Bonaventura, dell’Antitrust per pratica commerciale scorretta. La stessa somma che Ferragni punta a recuperare col ricorso per poi girarlo in beneficenza “ma per davvero, questa volta”: unico caso in cui praticamente si devolve un ricorso, ammesso che giri bene. Ma la fabbrica degli adepti s’è inceppata e quelli che c’erano se ne vanno. Chiara Ferragni, la influencer, piace sempre meno ai follower, e anche agli sponsor. Qualcuno ha scritto nottetempo sui vetri di uno dei suoi negozi, sempre più derelitti: “ladra” e “truffatrice”. Col pennarello. E la task force della superagenzia più 2 studi legali per vip ha il suo daffare. Fino a dove?

Quello che è sicuro, è che il moto spontaneo di Fazio non è proponibile, non si dà in natura, non è geneticamente compatibile; è sommamente improbabile che lui se ne sia uscito così, senza prima una serie di telefonate con il Politburo. Perché Che tempo che fa è semplicemente una articolazione televisiva del Politburo, una sua casamatta. E i suoi idoli, i suoi totem si sgranano in un rosario rosso che non si smentisce mai, catafratto all’imbarazzo grazie alla sperimentata iattanza gramsciana della sinistra che, quando fa autocritica, la fa nel solito modo: “Dove avete sbagliato, compagni?”. Le facce ineffabili del rosario rosso rispondono ai nomi di: Roberto Saviano; Aboubakar Soumahoro; Luca Casarini; Patrick Zaki; Gino ed Elena Cecchettin; dulcis in fundo, Chiara Ferragni. Dite che è troppo perfino per il moralismo peloso del Pd, di Che tempo che fa? Ma no, compagni, che non è troppo. Non è mai troppo. C’è sempre un’ospitata per lavare la coscienza con un altro po’ di apparenza.

Max Del Papa, 5 gennaio 2023