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Sanzioni, giù le mani dalle case dei russi

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Da Repubblica del 3 ottobre u.s. “Sigilli per Villa Altachiara, la residenza che fu della contessa Francesca Vacca Agusta e ora di proprietà dell’oligarca russo Eduard Yurevich Khudaynatov, considerato molto vicino a Vladimir Putin ed inserito nella black list dell’Ue. Dopo lo Scheherazade, il maxi-yacht di oltre 140 metri e un valore di 650 milioni bloccato ad agosto, la Guardia di Finanza ha congelato anche la villa di Portofino. Il provvedimento, disposto dal Comitato di Sicurezza Finanziaria ed eseguito dalle Fiamme Gialle, riguarda anche villa Serena (quartieri Parioli di Roma), il capitale sociale di una società con sede a Portofino per un valore complessivo di 57 milioni di euro e di una Porsche 911 turbo. Tutti beni riconducibili a Khudaynatov”.

Ho una irreprimibile antipatia per gli oligarchi russi – specie se amici di Putin – ma il liberale che è in me, dinanzi a notizie del genere, si sente come Winston, il personaggio del Rinoceronte di Eugene Ionesco, sconvolto dalla follia collettiva. Il Signor Khudaynatov ha comprato due ville in Italia: l’acquisto era regolare? La compravendita è stata fatta secondo le regole del Codice civile? Il pagamento è stato effettuato nei tempi stabiliti? Il liberalismo è stato definito l’arte della separazione – economia e diritto, morale e politica stanno su piani diversi – ma, soprattutto, come l’”astrazione” dell’individuo dalla comunità naturale o dalla società di cui fa parte. Non si è responsabili delle malefatte del pater familias o dei delitti della nazione alla quale si appartiene o delle persecuzioni religiose perpetrate in passato dalla nostra chiesa. Ognuno è tenuto a rispondere unicamente delle proprie azioni, anche l’antipatico Khudaynatov e quanto ai suoi pensieri (l’essere in sintonia con Putin) lo stesso Thomas Hobbes, teorico dello Stato-Leviatano, pensava che quanto  passa per la mente di un singolo individuo dovesse riguardare solo lui.

In realtà, l’universo anglosassone, che sembra aver messo in ombra l’antica secolare saggezza europea, ha una spietatezza vetero-testamentaria che riecheggia l’Esodo 20,5: “Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano”. Non c’è divisione di piani che tenga: le colpe dei padri – e dei governanti – ricadono sui figli – sui governati – e tutta la retorica illuministica e universalistica sulla sacralità dell’individuo viene cestinata come carta straccia.

A ben riflettere, anche le ‘sanzioni’ fanno strame della filosofia liberale. Parlando dell’onestà dei politici un autentico liberale come Benedetto Croce rilevava che a un medico non si chiede di essere una persona perbene e un ottimo padre di famiglia ma di conoscere il suo mestiere, giacché il buon nome non ha nulla a che fare con la competenza scientifica. Le sanzioni, nell’ottica della ‘società aperta’, significano che l’utile deve arretrare davanti al bene, che la logica del mercato deve mettersi da parte quando entrano in gioco i Valori. Ma davvero è così? Davvero nelle transazioni internazionali dobbiamo chiedere il certificato di buona condotta ai nostri partner commerciali? E se questo comportasse una crisi economica di vastissima portata, destinata a mettere in ginocchio il nostro sistema produttivo e a precipitarci in una crisi politica dalle conseguenze inimmaginabili, andremmo imperterriti avanti per la nostra strada di ‘redentori’ dai mala mundi?

Primum vivere, dicevano gli antichi che ponevano al centro del loro agire l’etica della responsabilità, quella che guarda alle conseguenze di una linea politica e non alle intenzioni che ispirano i santi e i profeti. A chi risponde che è indegno dell’uomo propter vitam, vivendi perdere causas (per difendere la vita, smarrire la stessa ragione di vivere), si può replicare che sottoterra non ci sono più né giusti, né ingiusti, né valori né disvalori. Se salus rei publicae suprema lex esto (la salvezza dello Stato sia la legge suprema) preservare la comunità politica è il primo dovere, anche se questo dovesse comportare rinunce estremamente dolorose, come amputazioni di territori o perdite limitate di vite umane. Spesso si cita, per farcene vergognare, il “morire per Danzica!” (oggi sarebbe il “morire per Kiev”) ma se, per difendere ‘Danzica’, si rischiasse la catastrofe nucleare, diremmo – tanto per citare un ennesimo adagio latino, ma questa volta di Ferdinando I d’Asburgo – fiat justitia pereat mundus (Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo)?

Fa bene, a mio avviso, Papa Bergoglio a invocare la pace, a chiedere ai grandi della Terra di sedersi attorno a un tavolo, a fare il possibile e l’impossibile per fermare morti e distruzioni. Anch’io credo che Putin sia un despota cinico e irresponsabile però mi viene in mente quanto scriveva del fascismo un grande filosofo come Giovanni Gentile: che alla vittoria del duce hanno contribuito tutti, sia i fascisti che i liberali che alle camicie nere non hanno saputo opporre né i loro petti né i loro ideali. È un rilievo che mi aveva indignato la prima volta che l’avevo letto, giacché era quello del vincitore soddisfatto e sicuro di sé. A rifletterci bene, però, avrebbe dovuto essere meditato anche dal vinto. Le catastrofi naturali avvengono per cause sulle quali non possiamo intervenire ma quelle politiche sono dovute alla nostra insipienza, all’incapacità di prevedere i pericoli che minacciano un sistema politico, alla sottovalutazione dei bisogni e delle paure della gente, spesso alle complicità interessate e alle minimizzazioni dettate dalla vigliaccheria e dal quieto vivere.

Quando pensiamo a Mussolini, a Hitler, a Stalin a Putin è troppo comodo sentirci come oggetti e vittime della storia: dovremmo, al contrario, considerarcene soggetti e soggetti perdenti, riguardare le ‘pecore nere’ non come persone estranee, venute da un altro mondo, ma come membri della nostra famiglia che non abbiamo saputo tenere sotto controllo.

Dino Cofrancesco, 7 ottobre 2022