Fermi tutti: adesso c’è arrivato anche Tony Blair. L’ex premier britannico nella prefazione al rapporto del suo Tony Blair Institute, ha messo il timbro “verde” a quello che, molto più umilmente, su questo sito ribadiamo ormai da tempo: abbandonare a rotta di collo i combustibili fossili, al netto di quanto successo in Spagna, significa portare al suicidio un continente, quello europeo, senza incidere minimamente sulla riduzione di emissioni globali. O al massimo tagliandole di un insignificante 2% totale, mentre CIna, India e Sudest asiatico continuano a bruciare carbone a gogo.
“Sappiamo che l’attuale stato del dibattito sul cambiamento climatico è permeato di irrazionalità”, scrive Tony Blair, che pure continua a sostenere che il clima stia cambiando per colpa dell’uomo. Tuttavia riconosce che i cittadini si stiano allontanando “dagli aspetti politici della questione perché ritengono che le soluzioni proposte non siano fondate su buone politiche”. “Pertanto – spiega – nei paesi sviluppati, gli elettori si sentono chiamati a fare sacrifici finanziari e cambiamenti nel proprio stile di vita, pur sapendo che il loro impatto sulle emissioni globali è minimo. Qualunque sia la responsabilità storica del mondo sviluppato per il cambiamento climatico, chi ha anche una conoscenza superficiale dei fatti sa che in futuro le principali fonti di inquinamento proverranno principalmente dai paesi in via di sviluppo”.
D’altro canto non possiamo certo prendercela con i Paesi in via di sviluppo. Noi, prima di loro, abbiamo bruciato combustibili fossili e ci siamo arricchiti, dunque si comprende, dice Blair, che anche loro vogliano fare lo stesso. “C’è stato quindi un periodo in cui l’azione contro i cambiamenti climatici e gli accordi globali, in particolare l’accordo di Parigi del 2015, sembravano annunciare una nuova era; ma a questo slancio è seguita – esacerbata da shock esterni come il Covid e la guerra in Ucraina – una reazione negativa contro tali azioni, che minaccia di far deragliare l’intero programma”. Certo: il tema climatico è spesso al centro dell’agenda del dibattito pubblico e in qualche modo le rinnovabili stanno crescendo. Ma “a causa dei livelli di crescita e sviluppo, le attuali soluzioni politiche sono inadeguate e, cosa ancora peggiore, distorcono il dibattito spingendolo a cercare una piattaforma climatica irrealistica e quindi impraticabile”. Di più: secondo Blair i politici dovrebbero spiegare ai cittadini che “l’approccio attuale”, per intenderci quello del Green Deal, “non funziona”.
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Perché? Semplice. “Nonostante gli ultimi 15 anni abbiano visto un’esplosione delle energie rinnovabili e nonostante i veicoli elettrici siano diventati il settore in più rapida crescita del mercato automobilistico, con la Cina in testa in entrambi i settori, la produzione di combustibili fossili e la relativa domanda sono aumentate, non diminuite, e sono destinate a crescere ulteriormente fino al 2030. Escludendo petrolio e gas, nel 2024 la Cina ha avviato la costruzione di 95 gigawatt di nuova energia a carbone, una quantità quasi pari all’attuale produzione totale di energia da carbone di tutta Europa messa insieme. Nel frattempo, l’India ha recentemente annunciato di aver raggiunto il traguardo di 1 miliardo di tonnellate di produzione di carbone in un solo anno”. Non solo. I viaggi aerei nei prossimi anni raddoppieranno (quanto ci piace essere green e al tempo stesso visitare le parti più disparate del mondo). Inoltre “entro il 2050 – scrive Blair – si prevede che l’urbanizzazione determinerà un aumento del 40 per cento nella domanda di acciaio e del 50 per cento nella domanda di cemento, fattori di produzione essenziali per lo sviluppo, ma materiali con un impatto significativo sulle emissioni”. Senza contare che l’Africa, che per ora produce solo il 4% delle emissioni globali, sta crescendo da un punto di vista demografico e questo avrà un impatto non indifferente in termini di energia, infrastrutture e risorse. Infine: entro il 2030 quasi due terzi delle emissioni globali proverranno da Cina, India e Sud-est asiatico.
Secondo Blair, questi “sono i fatti scomodi, che significano che qualsiasi strategia basata sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili nel breve termine o sulla limitazione dei consumi è una strategia destinata a fallire“.
Questo non significa che l’ex premier britannico non crede che il cambiamento climatico sia di origine antropologica (aspettiamo: magari tra qualche anno cambiano idea pure su questo…), né che “non dovremmo continuare a utilizzare le energie rinnovabili, che sono necessarie e convenienti”. Tuttavia riconosce che “se non trasformiamo alcune delle tecnologie emergenti in opzioni finanziariamente sostenibili, il mondo sceglierà l’opzione più economica. Questo vale per tutto, dalla fusione nucleare al carburante sostenibile per l’aviazione, all’acciaio ecologico e al cemento a basse emissioni”. Blair suggerisce dunque di non abbandonare il nucleare (“campagne iperboliche hanno portato il mondo al un grave errore politico di abbandonarlo”), incrementare la ricerca e non le iniziative “verdi”, oltre che investire sulla cattura del carbonio, al momento insostenibile commercialmente benché tecnologicamente fattibile, ipotesi ostacolata dal fatto che la politica ha scelto di correre dietro “la soluzione purista di fermare la produzione di combustibili fossili”.
Secondo Blair, inoltre, “i leader politici, in generale, sanno che il dibattito è diventato irrazionale. Ma hanno paura di ammetterlo, per paura di essere accusati di essere ‘negazionisti del clima’”. Irrazionalità a cui si aggiungono le varie riunioni delle variopinte COP in cui i capi di Stato e di governo “discutono per giorni in pubblico su termini come ‘porre fine’, ‘eliminare gradualmente’, ‘ridurre’ i combustibili fossili, proclamando che possiamo ancora raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi per limitare il riscaldamento globale”, spendo benissimo che invece non è un obiettivo raggiungibile.
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