Credo ci siano poche formule capaci di rendere il senso di un’assenza, come quella che indica il periodo fra un Papa e un altro. Ieri sera leggevo la lettera con cui il cardinale decano convoca i cardinali elettori alla prima riunione delle congregazioni cardinalizie: nel testo scrive “la vacanza della Sede apostolica.”
Ho trovato curioso come un termine che noi associamo al riposo, allo svago, al divertimento, qui assuma tutt’altro significato. Vacanza come assenza, vuoto. Ecco, il vuoto che lascia Papa Francesco è tangibile. Che fosse un pontefice di rottura col passato, del resto, lo potevamo intuire sin dalla scelta del nome: in duemila anni non c’era mai stato un Francesco, eletto al soglio di Pietro. È poi venuto dopo un predecessore che si era dimesso, altro episodio quasi unico. E ancora il suo essere gesuita, un ordine il cui il capo, storicamente, viene definito il Papa nero, vuoi per la tunica lunga perennemente indossata, vuoi per il suo andare controcorrente rispetto al Papa vestito di bianco.
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Bergoglio è stato senza dubbio un pontefice rivoluzionario, nei termini, nei pensieri, nei modi, nelle scelte, nelle provocazioni. Ha spinto molto su un acceleratore che, forse, la Chiesa di oggi non era in grado di sostenere.Purtroppo, se da una parte ha raccolto stima e approvazione anche fra gli atei, dall’altra ha diviso il gregge. Troppo parroco per essere Papa, diceva qualcuno.
La Chiesa che lascia Papa Francesco è più debole di quella che avevano lasciato Wojtyla o Ratzinger. Questo è un fatto. Ma a questo Papa va riconosciuto il merito di essere sempre stato coerente con sé stesso. E per quanto fragile quella Chiesa oggi possa essere, mi appare come la stessa fragilità di chi percorre un cammino di psicoterapia; uno di quei percorsi autentici che ti portano a scavare fin nel profondo. E a buttare fuori tutto il marcio che c’è. Ma che ti lascia esausto, svuotato.
Se la Chiesa oggi è debole, infatti, è perché Francesco ne ha senza remora alcuna, messo in luce contraddizioni e ipocrisie, senza eludere le proprie, che ha mostrato più volte. Ha rassodato la terra. È oggi una Chiesa denudata, in “vacanza”. Ma pronta per una nuova semina. Capisco e conosco bene le obiezioni di chi pone qui una questione dottrinale, dogmatica. Il mio non vuole essere un discorso teologico, non sono qualificato e competente a sufficienza per sostenerlo. Né voglio qui soffermarmi sulla bontà o meno del suo pontificato. Mi limito solo, umanamente, a riconoscere in Francesco un momento di discontinuità dell’essere. Estremo, certo. Ma non a caso aveva scelto come nome quello di un altro estremo, di un altro “scandalo”. Resta un’eredità pesante, in un momento storico complicato e pericoloso. In questo senso, mi sentirei di iniziare a pregare anche per chi verrà, oltre che per chi non c’è più. E per i semi che vorrà spargere.
Guglielmo Mastroianni, 22 aprile 2025
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