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Africa: così vicina, così lontana

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Raramente, la ‘grande stampa’ parla dell’Africa, soprattutto di quella a sud del Sahara, nonostante sia così prossima all’Europa (negli Anni Cinquanta Il Piano di Strasburgo del Consiglio d’Europa prevedeva quasi un’integrazione tra i due continenti) e gran parte dei migranti che sbarcano sulle nostre coste siano di provenienza di quella che un tempo si chiamava ‘Africa Nera’. In breve, l’Africa è così vicina ma anche così lontana – Farway, So Close! Come la notissima canzone degli U2 del 1993, ispirata a sua volta da un brano di Frank Sinatra, e diventata parte della colonna sonora di un noto film di Wim Wenders.

Anche la Nato è piuttosto Farway, So Close!. Se ne parla esclusivamente nelle pagine (di norma poche) in cui si tratta di politica estera e quasi esclusivamente in occasioni di missioni militari o se il ‘maggiore azionista’ (gli Stati Uniti d’America) ci chiede di aumentare le nostre quote (e ci ricorda che per settanta anni abbiamo speso relativamente poco per la difesa in quanto tutelati dall’ombrello americano). Pochi sanno che Roma ospita una struttura della Nato, il Nato Defense College, strumento importante per integrare le dirigenze militari degli Stati membri dell’Organizzazione ed una Nato Defense College Foundation che è un piccolo ma efficace think tank sui temi che interessano la strategia e la geopolitica.

L’8 ed il 9 maggio, la Nato Defense College Foundation ha organizzato un interessante convegno sul tema Africa in Action: Tailoring Security to Real Needs and Themes, con una folta rappresentanza di esponenti politici africani ed alcuni esperti italiani, principalmente diplomatici con lunghi anni di servizio in sedi africane.

Un tempo l’Italia aveva una ‘scuola di africanisti’ molto nutrita e piena di inventiva. Era in varie università del Paese, principalmente Roma, Bologna, Napoli e Milano. Ora, che io sappia, il principale focolaio di studi e di idee è all’Università di Cagliari. Purtroppo, la partecipazione degli africanisti italiani al convegno è stata quasi nulla. Ciò non è da addebitarsi agli organizzatori ma al fatto che gli studi africani hanno perso gradualmente peso nel dibattito culturale e politico italiano.

Dato che tra i quindici anni passati in Banca mondiale ed i sette tra FAO ed Organizzazione Internazionale del Lavoro, ho operato per diversi lustri su temi dello sviluppo africano, soggiornando per periodi più o meno brevi in quasi tutti i Paesi del continente (specialmente in Kenya, dove il vice di Kenyatta usava dirmi che ero ‘l’unico Kikuyu -un’etnia importante del Paese- bianco’), ho partecipato ad alcune sessioni del convegno, apprendendo molto sulle opportunità di coinvolgimento sia dei singoli Stati africani sia delle loro organizzazioni di cooperazione regionale nel gestire una crisi, ormai annosa, di terrorismo che frena un continente, un tempo considerato destinato al sottosviluppo permanente ma ora in rapida crescita, e che fa sì che parte delle loro risorse più scarse (uomini e donne giovani e preparati) siano costretti a prendere la strada dell’emigrazione.

In una fase in cui non sono affatto chiare le prospettive di governo del Paese, sarebbe poco serio proporre un’iniziativa italiana perché l’Africa non sia più Farway, So Close! ma oggetto di una politica attiva non limitata ai progetti puntiforme di cooperazione. Tuttavia, iniziative come quella della Nato Defense College Foundation sono da applaudire perché riportano anche se solo per pochi giorni il tema all’attenzione. Nella speranza che in tempi migliori si possano fare riflessioni più articolate sulla strategia africana dell’Italia.

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