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Altro che aiuti, ecco perché dovremmo chiedere il risarcimento dei danni alla Cina

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Nei soli Paesi G7 danni per 4 trilioni di dollari

Che il Covid-19 sia una vera e propria guerra è ormai cosa evidente. Un argomento ancora tabù è invece il riconoscimento dell’incombenza della guerra che bisognerà combattere per la ricostruzione sociale ed economica dei Paesi colpiti.

Mentre in Italia non esiste ancora un piano per la seconda e la terza fase dell’emergenza epidemiologica che stiamo vivendo, sarebbe doveroso aprire un dibattito in merito alle responsabilità da imputare alla Repubblica Popolare Cinese ed ai costi che questa dovrebbe essere chiamata a sostenere per porre ristoro.

Bisogna infatti avere il coraggio di riconoscere che la Cina, con l’esitazione, volontaria o meno, nel riconoscere l’esistenza di una minaccia epidemiologica, i ritardi nel coordinamento con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la falsificazione dei dati riguardo i casi positivi, ha non solo violato il Regolamento Sanitario Internazionale, ma ha favorito la diffusione globale del virus, permettendo anche a 5 milioni di persone di lasciare Wuhan prima del 23 gennaio, giorno dell’inizio del lockdown, nonostante la consapevolezza della trasmissione da uomo a uomo del Covid-19.

La Cina pagherà mai per tutto ciò? A tal riguardo, bisogna ricordare che la Cina, così come Stati Uniti e Francia, non è inclusa nella lista degli Stati che accettano il giudicato della Corte Internazionale di Giustizia e, seppur così non fosse, la giurisdizione della Corte si fonda sul consenso delle parti e difficilmente il Paese di Xi Jinping si sottoporrebbe ad un processo.

La difficoltà di poter affrontare il tema nelle sedi opportune, suggerisce la possibilità di gestire la faccenda in termini più realistici: risolvere la disputa nella sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Difatti, lamentando l’impossibilità di adempiere agli obblighi derivanti dagli accordi, si ha la facoltà di chiamare in causa la Cina dinanzi al Dispute Settlement Body che, a differenza della Corte Internazionale di Giustizia, trova legittimità ad operare in virtù dell’accordo stesso e non per esplicita accettazione di una delle parti.

Al riguardo, uno studio della Henry Jackson Society, quantifica la perdita per i Paesi del G7, per via del costo delle misure di contenimento, intorno ai 4 trilioni di dollari (M. Henderson, A. Mendoza, A. Foxall, J. Rogers, S. Armstrong, “Coronavirus Compensation: Assessing China’s potential culpability and avenues of legal response”, The Henry Jackson Society, April 2020, London).

La necessità di giustizia dovrebbe essere tra i primi temi dell’agenda del nostro Esecutivo una volta superata la fase del contenimento del virus. La negligenza cinese, che è costata la vita a migliaia di italiani, avrà costi economici significativi aprendo una nuova recessione. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Italia sarà tra i Paesi maggiormente colpiti con un tasso di crescita del -0,4 per cento per il 2020 (ma altre autorevoli istituzioni stimano una perdita di Pil di diversi punti percentuali). Non bisogna quindi cadere nel tranello della soft diplomacy cinese, la quale non è altro che un tentativo di passare da untori del mondo a Paese leader della solidarietà, probabilmente con il chiaro intento di trovare alleali e alleggerire le ripercussioni della comunità internazionale.

In questo senso, il comportamento tenuto dalla Farnesina, con il tentativo propagandistico di spacciare gli acquisti come “doni” cinesi, rappresentano un peccato di compiacenza per il quale, moralmente ed elettoralmente, il ministro Di Maio, a tempo debito, dovrà rispondere.

Quando tutto ciò sarà finito, probabilmente con l’arrivo del vaccino, non bisognerà dimenticare che la Cina ha avuto la possibilità di ridurre il rischio pandemico del 95 per cento ma, probabilmente per via di una scelta legata all’immagine internazionale del Paese, ha preferito tacere, manomettere informazioni e dati, giocando con la vita delle persone.

È doveroso uno sforzo da parte di tutta la comunità internazionale, soprattutto da parte delle democrazie occidentali, al fine di avviare il processo di ricostituzione dell’ordine mondiale, ricordando che Paesi autoritari come la Cina non sono esonerati dagli obblighi derivanti dalle norme di diritto internazionale quali le convenzioni che anch’essi hanno ratificato.

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