Esteri

La linea dura di Tunisi paga: i Paesi subsahariani si riprendono i propri migranti

Proprio quei governi con cui l’Italia da anni cerca invano accordi sui rimpatri. E i media italiani scoprono il razzismo arabo-islamico nei confronti dei neri

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Lo scorso 22 febbraio il presidente della Tunisia, Kais Saied, intervenendo ad un incontro sulla sicurezza nazionale, ha espresso la necessità di adottare misure d’emergenza contro i troppi immigrati irregolari originari dell’Africa sub-sahariana.

Sostituzione etnica

La loro presenza è all’origine dell’ondata di crimini che si registra nel Paese, ha detto, e inoltre l’afflusso di così tanti immigrati africani è parte di un piano per cambiare la composizione della popolazione: “l’obiettivo non dichiarato di queste orde di immigrati illegali – ha spiegato – è di fare della Tunisia uno stato esclusivamente africano senza alcun legame con i Paesi arabi e islamici”.

Alcune organizzazioni che difendono i diritti umani hanno subito protestato, accusando il presidente di razzismo e fascismo. “È un atteggiamento razzista proprio come quello delle campagne anti-immigrati in Europa – ha commentato un portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali – la campagna presidenziale vuole creare un nemico immaginario per distrarre la popolazione dai problemi di base”.

Il riferimento ovviamente è alle reazioni in Europa ai flussi di emigranti irregolari provenienti anch’essi in gran parte dall’Africa sub-Sahariana. “È l’opposizione che parla di razzismo e che travisa volutamente le mie parole per creare discordia – ha replicato Saied – La polizia ha semplicemente ricevuto l’ordine di far rispettare le nostre leggi”.

Ogni ingresso illegale deve essere fermato e gli stranieri privi di documenti devono essere arrestati. Tutti gli immigrati irregolari, ha specificato, devono lasciare la Tunisia, quelli che vi risiedono regolarmente invece non avranno niente da temere, nessuno farà loro del male.

Arresti e violenze

In Tunisia vivono circa 21.000 africani sub-sahariani, secondo stime ufficiali, e la maggior parte sono irregolari. Clandestini o in regola, si riconoscono dal colore della pelle: sono africani neri. Dopo le parole del presidente, si sono verificati diversi episodi di violenza, delle persone sono state picchiate, maltrattate, molestate.

Tanti irregolari sono già finiti in carcere, si dice almeno 400, tanti sono stati licenziati, da un giorno all’altro hanno perso lavoro e casa. Quelli che potevano, si sono nascosti, per timore di essere arrestati o aggrediti. Molti, specie originari di Guinea Conakry, Mali e Costa d’Avorio, stanno cercando rifugio nelle rispettive ambasciate. Sono centinaia quelli che chiedono di tornare a casa.

“Dopo il discorso del presidente Saied sono incominciate le aggressioni – ha raccontato all’agenzia di stampa Reuters Berry Dialy Stephan, un cittadino ivoriano intervistato nella sua ambasciata a Tunisi – adesso abbiamo paura”.

Un altro ivoriano, Foufana Abou, ha riferito sempre a Reuters che nel suo quartiere lo hanno insultato e gli hanno tirato delle pietre. “Le parole del presidente hanno dato il via libera alle tantissime persone che già nutrivano sentimenti razzisti nei nostri confronti – ha spiegato alla BBC una studentessa sudafricana – se sei nero, tanto basta per diventare un bersaglio”.

Il razzismo arabo-islamico

Per i mass media italiani che ne hanno parlato, a fare notizia sono le “frasi choc” del presidente, la “caccia al nero” scatenata dalle sue parole, la scoperta che i neri in Tunisia sono vittime di odio e razzismo. Ma le popolazioni africane che vantano origini arabe e fede islamica si ritengono superiori agli africani neri, sub-sahariani, e si comportano di conseguenza.

È così dall’epoca della colonizzazione arabo-islamica del continente, nel VII secolo, che diede inizio anche alla tratta araba degli schiavi. Si ritengono superiori, lo dicono apertamente e lo manifestano emarginando i neri, discriminandoli e peggio.

Succede in Kenya, Sudan, Marocco, Mali, Mauritania… e succede in Tunisia dove, come in Egitto, Algeria, Libia e in altri stati africani, al pregiudizio etnico si aggiunge il disprezzo per chi svolge lavori manuali, umili, dal momento che la maggior parte degli africani sub-sahariani emigrano in quei Paesi per lavorare, assunti come domestici, operai, braccianti, manovali.

I primi rimpatri

La vera notizia è che, per effetto dei provvedimenti decisi dal governo tunisino, proprio i Paesi con cui l’Italia da anni tenta con estrema difficoltà di stipulare accordi per rimpatriarne i cittadini arrivati illegalmente e le cui richieste di asilo sono risultate infondate, disposta a sostenere i costi dei loro viaggi di ritorno in aereo e persino a dotarli di aiuti finanziari per reinserirsi nella vita sociale ed economica delle rispettive comunità, quegli stessi Paesi adesso si stanno affrettando ad andare a prendere e riportare a casa i loro connazionali.

I primi ad attivarsi sono stati la Guinea Conakry e la Costa d’Avorio. La giunta militare al potere in Guinea dal golpe del 2021 ha affittato un aeroplano e il 1° marzo, a meno di una settimana dall’entrata in vigore delle nuove misure contro l’immigrazione irregolare, un primo volo è partito dall’aeroporto di Conakry, la capitale della Guinea, alla volta di Tunisi per rimpatriare i primi 50 guineani che hanno chiesto di tornare a casa.

Inoltre il ministro degli esteri guineano, Morissanda Kouyate, si è recato in Tunisia con un aereo governativo per fornire loro assistenza. Anche la Costa d’Avorio sta organizzando dei voli charter per il rimpatrio dei propri cittadini.

“La cosa più urgente è salvare delle vite, evitare danni – ha detto il portavoce del governo ivoriano Amadou Coulibaly, intervistato dall’Agence France-Press il 1° marzo – nelle prossime 72 ore prevediamo di portare via circa 500 connazionali”. “Ci sono stati dei ritardi – ha spiegato un diplomatico ivoriano – a causa delle sanzioni che gli immigrati irregolari devono pagare che spesso superano i mille euro”.

Multe salate

Per ogni settimana trascorsa illegalmente in Tunisia è prevista infatti una sanzione (istituita nel 2017, di 20 dinari tunisini, circa sei euro) e, siccome per tanto tempo si è chiuso un occhio sulla presenza di stranieri senza permesso di soggiorno, ci sono degli immigrati che per potersene andare devono pagare somme per loro elevate e non sono in grado di farlo.

Una ragazza ivoriana, Constant, intervistata nella sua ambasciata, ha spiegato: “sono qui per ottenere un permesso di uscita, ma è complicato perché sono in Tunisia da più di quattro anni, devo pagare una multa di oltre mille dollari e non li ho”.

La soluzione per lei, e per tanti altri nella sua condizione, potrebbe essere cercare di lasciare la Tunisia clandestinamente via mare, alla volta dell’Europa. Altri immigrati irregolari, pur desiderando andarsene al più presto, hanno paura a tornare a casa. “Tornare per fare che cosa – dicono – se poi non troviamo lavoro”. Anche loro forse tenteranno la traversata del Mediterraneo. Per l’Italia non è una buona notizia. 

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