La recentissima vicenda del volo 8243 Baku-Grozny, della Azerbaigian Airlines, può ricordare, sotto alcuni aspetti, la tragica vicenda del volo Bologna-Palermo inabissatosi, nel 1980, sul fondo del Mar Tirreno, nei pressi dell’isola siciliana di Ustica.
Quando nella gelida mattina dello scorso 25 dicembre, il pilota dell’Embraer E109AR, dopo essere entrato nello spazio aereo russo, si apprestava ad iniziare le operazioni di atterraggio sulle piste della capitale cecena, non immaginava certo che si sarebbe trovato in un vero e proprio teatro di guerra.
La battaglia nei cieli di Grozny
Sopra i cieli di Grozny, “la terribile”, così ribattezzata dagli Zar imperiali che faticavano ad espugnarla, stava avendo luogo, a dire di Mosca, una battaglia tra uno sciame di droni ucraini e le batterie della contraerea russa.
Secondo i testimoni a bordo dell’aereo il pilota aveva già fatto due tentativi infruttuosi di atterraggio ed al terzo tentativo, riferiscono i sopravvissuti, qualcosa è esploso molto vicino al velivolo. Successivamente, infatti, il ministro dei trasporti dell’Azerbaigian, Rashad Nabiyev, aveva affermato: “Tutti [i sopravvissuti] senza eccezione hanno dichiarato di aver sentito tre rumori di esplosione quando l’aereo era sopra Grozny”.
Ma c’era veramente una battaglia tra droni ucraini e contraerea russa nei cieli della Cecenia? Filtra, da notizie riservate sfuggite alla censura del Cremlino, che la commissione investigativa russa subito approntata dal governo abbia ordinato di trovare eventuali tracce di droni ucraini vicino a Grozny, al fine di dimostrare che il missile fosse indirizzato verso questi, ma nulla è stato trovato finora.
Sembra invece acclarato che sul terreno fossero operativi i seguenti sistemi di difesa aerea: due Pantsir, un S-300 e un sistema Buk SAM; da dichiarazioni degli stessi militari russi trapelava, inoltre, che fossero in azione i jammers, o disturbatori di frequenze, per la guerra elettronica e che gli operatori delle batterie anti-aeree non avessero i piani di volo degli aerei in transito.
Siamo, dunque, di fronte ad un grave impasse causata dai militari russi che, nel pieno di una electronic warfare, tra dilettantismo ed alta tensione, hanno probabilmente sparato “alla cieca” contro tutto ciò che si muoveva sopra le loro teste, colpendo lo sventurato volo civile delle linee aeree azerbaigiane.
L’opzione Ustica
Il serio danneggiamento subito dalla carlinga dell’aereo azerbaigiano avrebbe richiesto un rapido atterraggio di sicurezza che è stato però, inspiegabilmente ma non troppo, negato prima dalla torre di controllo dell’aeroporto ceceno e successivamente da quelle di Makhachkala, nel vicino Daghestan, e di Mineralnye Vody, nel Caucaso settentrionale russo.
L’Embraer dell’Azerbaigian Airlines veniva, invece, indirizzato verso l’aeroporto kazako di Aktau, al di là del Mar Caspio, ad oltre 440 chilometri di distanza da Grozny, dove si schiantava violentemente al suolo, provocando la morte di 38 dei 67 passeggeri a bordo.
La manovra messa in atto dalla Russia si fondava, verosimilmente, sull’errato calcolo di un inabissamento, modello Ustica, del velivolo azerbaigiano nel Mar Caspio, così da sigillare in fondo al mare le prove del proprio coinvolgimento. Ma nonostante i numerosi danni riportati dall’Embraer, che oltre alla carlinga avevano coinvolto anche parte dei sistemi elettronici ed idraulici dell’aereo, il pilota riusciva miracolosamente ad attraversare tutto il Mar Caspio, fino alle coste del Kazakistan, avvicinandosi alle piste dell’aeroporto di Aktau.
Qui tentava una manovra di emergenza controllata, resa però complicata dalle perdite nei circuiti idraulici principali che avevano compromesso la funzionalità dei flap, degli spoiler e, soprattutto del carrello di atterraggio che, infatti, cedeva nel momento in cui l’aereo toccava terra, causando un incendio nel velivolo e la morte di 38 persone a bordo.
I fatti sembravano indicare che il sistema Gps dello sventurato volo 8243 era stato disturbato dalle interferenze dei jammer russi attivati per l’electronic warfare nello spazio aereo ceceno e che la carlinga dell’Embraer era stata, con ogni probabilità, danneggiata dalle schegge di un missile sparato dalle batterie terra-aria di uno dei due sistemi Pantsir russi ed esploso a circa dieci metri dal velivolo.
Immediatamente dopo le agenzie di stampa russe iniziavano a battere notizie fuorvianti, volte a creare una cortina fumogena: la Ria Novosti parlava di una fitta nebbia sull’aeroporto ceceno, che avrebbe impedito l’atterraggio del volo 8243, mentre altre agenzie imboccavano la via del bird strike, ossia l’impatto con uno stormo di uccelli in volo. Ma poco dopo era la Reuters, seguita a ruota dalla BBC, a rilanciare l’ipotesi di un danneggiamento della fusoliera provocato da un missile russo, in uno scenario di guerra legato al conflitto in corso tra Ucraina e Russia.
La reazione di Aliyev
Nel frattempo, il presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, che si trovava a bordo dell’aereo presidenziale diretto a San Pietroburgo, per il consueto vertice della CIS (Comunità degli Stati Indipendenti), non appena informato dei fatti, compiva un rapidissimo dietrofront per tornare immediatamente a Baku.
Da parte dell’Azerbaigian veniva una ferma presa di posizione volta a chiedere una chiara e rapida ammissione di colpa da parte del governo federale russo, seguita da risarcimenti alle vittime. A tal proposito il presidente azero Aliyev definiva l’accaduto “un atto gravissimo che mette a rischio la sicurezza regionale e la fiducia nei cieli del Caucaso”. Rincarava poi la dose durante una conferenza stampa, affermando: “Non permetteremo che questo incidente venga archiviato senza giustizia. La vita dei nostri cittadini non può essere trattata con leggerezza”.
Nel sottolineare, infine, come le prove preliminari indicassero una responsabilità diretta della contraerea russa, Aliyev annunciava la formazione di una commissione speciale in Azerbaigian, per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti e analizzare i dati tecnici, invitando esperti internazionali a partecipare al processo investigativo, per accertare la dinamica dei fatti.
La reazione del Cremlino
La reazione del presidente russo Vladimir Putin è stata caratterizzata inizialmente da un silenzio protratto, che ha alimentato le tensioni diplomatiche. Dopo alcuni giorni, Putin ha espresso le sue condoglianze al presidente Ilham Aliyev, definendo l’incidente una “tragica fatalità”. Durante una conversazione telefonica tra i due leader, Putin ha promesso la collaborazione delle autorità russe nell’indagine e dichiarato che i responsabili saranno identificati e puniti, qualora si confermasse un errore della difesa aerea russa.
Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali del Cremlino hanno cercato di minimizzare l’accaduto, attribuendo l’incidente a “condizioni straordinarie” e puntando inizialmente sulla teoria del bird strike o di condizioni meteorologiche avverse. Nonostante le crescenti evidenze, le autorità russe hanno evitato di ammettere pienamente la responsabilità della contraerea, sostenendo che le indagini sono ancora in corso.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato: “Le speculazioni premature non aiutano a comprendere i fatti. La Russia sta collaborando con l’Azerbaigian per garantire trasparenza nelle indagini”. La posizione di Mosca, però, è stata vista da molti analisti come un tentativo di diluire le proprie responsabilità e attenuare le ripercussioni geopolitiche che la vicenda potrebbe avere.
Le indagini
Le ultimissime notizie, riportate dall’Associated Press lo scorso 3 gennaio, riferiscono che diversi investigatori dell’aeronautica brasiliana stanno lavorando con colleghi di altre tre nazioni, Azerbaigian, Russia e Kazakistan, presso il centro per le indagini e la prevenzione degli incidenti aerei nella capitale, Brasilia, per analizzare i dati estratti dalla scatola nera dell’aereo che si è schiantato in Kazakistan il 25 dicembre.
Il Caucaso si complica
Se verrà appurato che l’aereo è stato bersagliato da un missile della contraerea russa, il quadrante caucasico si complicherà ancora di più per la Russia.
Lo scenario attuale, infatti, vede la Georgia alle prese con massicce manifestazioni di piazza anti-governative che vanno avanti ininterrottamente da diverse settimane e con un Paese profondamente diviso tra filo russi e filo occidentali.
In Armenia, invece, dopo il ritiro delle truppe che occupavano il Karabakh ed il mancato intervento di Mosca a favore di Yerevan, l’orientamento pro-russo è in declino ed il presidente armeno Pashinyan guarda sempre di più in direzione dell’Occidente.
Qualora la vicenda del volo 8243 non giunga ad un definitivo chiarimento, soddisfacente per Baku, la Russia rischia di vedere seriamente incrinate le relazioni tra i due stati che, negli ultimi anni avevano registrato un significativo rafforzamento, in particolare con la firma, nel 2022, della “Dichiarazione sulla cooperazione alleata” composta da 43 punti e con il successivo “Piano d’azione congiunto” del gennaio 2024, volto a sviluppare aree chiave della cooperazione bilaterale per il periodo 2024-2026.