Esteri

La sanguinaria strategia di Hamas e il rischio dell’inazione

L’intento di Hamas è provocare un bagno di sangue a Gaza per radicalizzare la popolazione e accreditarsi come unica forza in grado di affrontare Israele

documento Hamas

Dopo l’Ucraina, le immagini degli orrori della guerra hanno nuovamente sconvolto gli animi del mondo intero. Secondo una delle definizioni date dal generale Carl von Clausewitz, autore del celeberrimo “Della Guerra”, la guerra è un camaleonte poiché cambia natura a seconda delle circostanze, adattandosi di volta in volta. In effetti, questa volta non assistiamo allo scontro sul terreno tra due forze militari di stati, bensì ad una serie di attacchi scagliati da un’organizzazione terroristica nei confronti della popolazione civile di uno stato sovrano.

E così, mentre alle porte dell’Occidente va in scena un secondo 11 Settembre, si rende indispensabile una riflessione sulle cause che hanno spinto questa organizzazione a perpetrare tali atti, anche al fine di comprendere e dare un senso di urgenza ad una risposta.

Aggressore e aggredito

Anzitutto è bene chiarire, ancora una volta, che anche in questo caso c’è un aggressore e un aggredito: l’aggredito è Israele e l’aggressore è Hamas, organizzazione terroristica che opera prevalentemente nel territorio della Striscia di Gaza. Per coloro i quali avessero ancora dei dubbi sulla natura e matrice di questa organizzazione è sufficiente riportare qua una delle tante possibili definizioni del concetto di terrorismo, inteso come “l’utilizzo della violenza contro civili e non combattenti da parte di attori non statuali per il raggiungimento di scopi politici”.

I massacri nei Kibbutz così come il rapimento e l’uccisione di centinaia di ragazzi ad un rave party o per strada documentati gettano luce su come in questa circostanza ad esser presa di mira sia proprio la popolazione civile, non solo israeliana. Infatti, elemento interessante della definizione sopra riportata di terrorismo è la finalità politica dell’azione intrapresa dai vari gruppi.

I tre obiettivi di Hamas

In un celebre articolo pubblicato per International Security, Barbara Walter e Andrew Kydd, due tra i maggiori esperti di terrorismo internazionale, hanno ricostruito le principali strategie e scopi del terrorismo. Tra questi, gli autori menzionano: l’attrito, l’intimidazione, la provocazione, il sabotaggio e l’outbidding.

Quando portano a termine qualsiasi attacco, i terroristi si rivolgono a due platee: il governo dello stato in questione e la popolazione, quest’ultima non necessariamente appartenetene allo stato attaccato. Questo è vero soprattutto nel caso in cui l’intento dell’organizzazione sia quello di provocare una risposta di ritorsione feroce dello stato attaccato nei confronti della popolazione civile residente nel territorio di casa dei terroristi. Il riferimento è alla striscia di Gaza e alla popolazione civile lì residente.

È chiaro che sin dal principio uno degli obiettivi, non tanto occulti, di Hamas era quello di provocare un vero e proprio bagno di sangue a Gaza, impedendo, come sta facendo anche in queste ore, la fuga dei civili dopo i ripetuti avvisi di Israele, che certo non ha intenzione di incappare in questo tranello.

Lo scopo di tutto ciò è semplice e non sconosciuto alle organizzazioni islamiste: radicalizzare la popolazione e convincerla del male assoluto dell’avversario, in questo caso Israele e, di riflesso, l’Occidente. Secondo Kydd e Walter, infatti, niente radicalizza la popolazione più di operazioni militari massicce nelle proprie città e nei villaggi di residenza.

Consapevoli del fatto che una democrazia, rispetto ad una dittatura, è più suscettibile ad una provocazione, proprio perché saranno forti il desiderio di giustizia e le richieste di estirpazione di tale organizzazione da parte della popolazione che ha subìto gravi perdite, Hamas non solo ha rapito ostaggi minacciandone l’uccisione in caso di rappresaglia, ma spera in un sacrificio umano della popolazione di Gaza per screditare Israele

Non soltanto, uno degli obiettivi di Hamas è anche quello di recuperare consenso e accreditarsi come unica forza valida e autorevole per gestire le relazioni con uno stato ostile, soprattutto in un momento nel quale la popolazione di Gaza cominciava ad essere insoddisfatta del suo operato. E qui infatti entra in gioco la strategia dell’outbidding, ovvero oltrepassare altre organizzazioni terroristiche all’interno dello stesso territorio accreditandosi come l’unica in grado di poter fronteggiare il nemico ostile.

Ma c’è anche un altro obiettivo non trascurabile nell’azione di Hamas, quello del sabotaggio del processo di normalizzazione in atto tra Israele e il mondo arabo, avviato con gli Accordi di Abramo nell’agosto 2020. A pensar male si fa peccato, ma anche in questo caso i precedenti non mancano: fu proprio Hamas a compiere sanguinosi attacchi proprio nei giorni della firma degli accordi di Oslo del 1993, così come l’organizzazione è solita intensificare gli attacchi prima di ogni consultazione elettorale israeliana al fine di favorire i conservatori di Likud, storicamente più intransigenti nei confronti del terrorismo palestinese.

È questa continua ricerca del caos e del disordine che da sempre anima le azioni di Hamas, la quale è in grado di prosperare soltanto in circostanze di perenne tensione e ostilità tra le parti. E di ciò si sta avendo conferma in questi giorni, ma tant’è.

La risposta di Israele

Ciò che maggiormente preoccupa e interroga le menti degli analisti occidentali in questi giorni è la risposta che Israele dovrà dare, posto che l’inazione non è un’opzione percorribile. L’idea che tali azioni possano restare impunite potrebbe ben presto spingere ad una serie di altre azioni terroristiche, magari in altri Paesi europei. Troppo forte il rischio emulazione e radicalizzazione che tali attacchi potrebbero avere, riaccendendo la rabbia e l’orgoglio – parole che non cito casualmente – nel mondo islamico, il quale potrebbe ben presto portare a termine altri attacchi nei confronti del mondo libero.

Per questo, il commitment verso la difesa dei valori di libertà passa anche e soprattutto attraverso una risposta ferma e risoluta nei confronti di tali azioni. Non è intenzione di Israele e di nessuno stato occidentale quella di uccidere civili o decapitare bambini come invece Hamas ha fatto, quanto piuttosto quella di sradicare un’organizzazione criminale che fa uso dei civili come bersaglio e scudo politico ai fini di promuovere i propri interessi.

I pro-Hamas in Occidente

Le molte persone che in questi giorni stanno affollando le strade delle capitali occidentali con deliranti manifestazioni pro-Palestina nascondendosi dietro al volto ipocrita dell’umanesimo pacifista, dovrebbero comprendere la vera posta in gioco, ma soprattutto il fatto che le uniche persone ad aver ucciso e volere la morte di migliaia di civili sono le stesse che si nascondono dietro a quelli stracci medioevali.

I soliti che cingono le teste e ricoprono i volti delle molte donne che scendono in piazza al grido di libertà per la Palestina, le stesse che nei propri Paesi di origine vengono considerate un mero oggetto a completa ed esclusiva disposizione del marito, il cui corpo diviene oggetto di peccato proibito e le violazioni a tale codice sanzionate con la morte. Le stesse che vengono private quotidianamente di ogni libertà di espressione, pensiero, determinazione.

Aveva ragione Oriana Fallaci, è davvero in atto una crociata al contrario, peccato che a rimetterci siano come sempre gli innocenti. Tanto è vero che in questo caso mi risulta difficile sfoderare la massima di Capezzone: assolvere queste persone “per non aver compreso il fatto” sarebbe imperdonabile.  

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