Esteri

Occhio, immotivati i facili entusiasmi per i Brics

Alle redazioni occidentali piene di nostalgici dell’Urss e terzomondisti piace enfatizzare le mosse dei Brics, che invece sono divisi su tutto e, tranne l’India, non se la passano bene

Brics 2023

Si leggono in questi giorni, su molti giornali occidentali, commenti entusiastici sul summit dei Brics a Johannesburg. Da un lato ci sono i nostalgici del socialismo reale che, quando vedono i cinesi esporre con orgoglio la falce e il martello, non possono fare a meno di versare qualche lacrimuccia, illudendosi che Xi Jinping possa rinverdire i fasti della defunta Unione Sovietica, portando finalmente un Paese marxista-leninista alla guida del mondo.

Dall’altro abbiamo tutti i cultori del terzomondismo – e sono tanti – che vedono nella riunione l’occasione storica di punire l’odiato Occidente. Colpevole ai loro occhi di tutti i mali della storia, dal colonialismo all’egemonia culturale e commerciale che Stati Uniti ed Europa hanno realizzato non tanto grazie a oscuri complotti, bensì in virtù del fatto che sono società aperte e democratiche, capaci di espandersi perché adottano il libero mercato e il multipartitismo, che consente il ricambio periodico della classe politica.

Divisi su tutto

In realtà, sin dalle prime battute della riunione, si è capito che i cosiddetti Brics non sono d’accordo su niente. Vladimir Putin è intervenuto da remoto poiché rischiava l’arresto da parte delle autorità sudafricane, che accettano la sentenza della Corte internazionale dell’Aja. Lo zar moscovita, che elimina fisicamente uno a uno i suoi nemici, ha reiterato di nuovo la tesi che la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina perché attaccata dall’Occidente. E credo che neppure tra i Brics tale tesi venga presa sul serio.

La crisi cinese

Dal canto suo, Xi Jinping si è presentato come trionfatore, tacendo opportunamente sulla gravissima crisi economica che il suo Paese sta attraversando. E’ soprattutto lui a insistere sulla necessità di sostituire al dollaro una nuova valuta Brics negli scambi internazionali.

Scordando però che il Renminbi ha subito un vero e proprio tracollo nei confronti di dollaro ed euro a causa della summenzionata crisi, che vede lo scoppio della bolla immobiliare, l’aumento esponenziale della disoccupazione giovanile e il calo continuo del Pil del Dragone, che prima aumentava senza sosta. Xi e il suo gruppo dirigente sono tornati al dirigismo più spinto, punendo le aziende innovative e privilegiando la dimensione ideologica rispetto a quella economica.

Quanto agli altri, con l’unica eccezione dell’India, c’è poco da stare allegri. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa deve affrontare in Parlamento un’opposizione tutt’altro che convinta dell’opportunità di staccarsi dall’Occidente per mettersi nelle mani di Vladimir Putin e di Xi Jinping.

Il brasiliano Lula, che ha vinto le ultime elezioni con un margine risicatissimo, a proposito dell’Ucraina ha ribadito la volontà brasiliana di rispettare le norme del diritto internazionale, dando così uno schiaffo a Putin.

Le condizioni di New Delhi

Come si diceva innanzi, l’unico membro dei Brics in ascesa è l’India di Narendra Modi. A dispetto delle sue politiche repressive nei confronti delle minoranze etniche e religiose, tuttavia, il premier indiano non sembra affatto intenzionato a fare il salto della quaglia (perché non gli conviene).

La popolazione indiana ha superato quella cinese e New Delhi può vantare un Pil in costante ascesa rispetto a quello di Pechino. Nell’Indo-Pacifico partecipa ad alleanze militari con le nazioni occidentali, e Modi si è addirittura concesso il lusso di dire che gli aspiranti nuovi membri del gruppo devono essere Paesi democratici, messaggio in realtà indirizzato a Mosca e a Pechino.

Mi sembra insomma che i cantori dei Brics non abbiano molti motivi per essere ottimisti e che, al contrario, dovrebbero essere assai più prudenti.

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