Politica

Basta vittimismo, per cambiare il Paese bisogna iniziare a spezzare vincoli

Governare non è come scrivere una storia nuova su un foglio bianco, significa districarsi fra mille vincoli, scontrarsi con poteri radicati, dalla magistratura ai media

Meloni Salvini migranti © geralt tramite Canva.com

Le reazioni alla sentenza del Tribunale di Catania, che non ha convalidato il fermo di quattro migranti disapplicando una norma del decreto Cutro ritenuta in conflitto con la normativa comunitaria, ci dice tutto della politica italiana e non solo del governo Meloni. Da circa tre decenni oramai la politica italiana fallisce puntualmente laddove ritiene di arrivare al governo e poter agire come fa uno scrittore quando crea una storia, quando cioè scrive su pagine bianche sopra le quali tutto può essere edificato da zero.

Sembra incredibile che i vari governi politici che si sono succeduti, da Berlusconi in poi, non abbiano capito che arrivare al governo non è come scrivere una storia nuova su un foglio bianco, ma significa districarsi fra mille vincoli.

Mille vincoli

Al di là del merito della sentenza del Tribunale di Catania, vuole il governo (la maggioranza parlamentare) introdurre una nuova norma? Deve tenere conto dei vincoli rappresentati dalla Costituzione, dalle direttive europee, dalle sentenze CEDU e deve confrontarsi anche col vincolo, perché no, dell’orientamento culturale della parte maggioritaria della magistratura e con lo status di autonomia e indipendenza che è sancito nella massima fonte del diritto nazionale.

È chiaro che a chi si è candidato alla guida del Paese con la promessa di cambiarlo non piacciano i vincoli all’azione politica. Non ti piacciono i vincoli? Sono criticabili? Può essere, ma ci sono, quindi o si tengono in debita considerazione, o si fallisce, o si agisce per spezzare tutti questi ostacoli.

Il contesto delle relazioni internazionali è avverso all’azione politica del nuovo governo? Non è giusto che alcuni Paesi facciano la guerra al nuovo indirizzo politico italiano per tutelare i loro egoistici interessi nazionali? Può essere che l’osservazione sia fondata, ma quella avversità del contesto internazionale è un vincolo e in ragione di ciò bisogna agire come già detto: o la politica nazionale fa di necessità virtù, o esercita la forza e dimostra l’abilità per modificarlo, o soccombe.

Questa è la politica, a qualsiasi livello. Potremmo allungare l’elenco fino alla noia. Lo spread vincola la sovranità nazionale, insieme ai Trattati Ue? La sovranità è ridotta a niente nel momento in cui devi contrattare l’allocazione delle risorse pubbliche (manovra di bilancio) col consenso di Bruxelles? Si, è proprio così. E dunque? Cosa si vuol fare? Trovare la capacità di coltivare come si può i propri interessi, uscire dalla Ue (scelta discutibile ma legittima), o frignare contro la cattiva Bruxelles?

L’enormità del debito pubblico non è colpa, non ancora almeno, del nuovo governo. Vero, ma è un vincolo per la sua azione e, per di più, uno di quelli che attanagliano con più forza. Quali soluzioni si possono proporre? Come prima: o ci si adegua, o si modifica il quadro d’insieme, o si soccombe.

Stampa e tv sono contro il governo? Dentro le scuole e le università italiane impera una cultura avversa alla linea della maggioranza parlamentare? Può essere, anzi, ragionevolmente è così. Ma si tratta di realtà che devono essere soppesate prima e affrontate dopo.

Guerra civile

Prima di qualsiasi nuovo governo nel 1994, come nel 2001 o nel 2022, si è sedimentata una storia che ha preso le mosse dal 1948. Da quel momento in poi si sono radicati poteri (spesso autoreferenziali) ovunque, culture restie a cambiare, rapporti di forza (sociali, politici, giudiziari, internazionali) che adesso vivono di vita propria e che hanno conquistato posizioni di privilegio da prima che qualsiasi governo recente si sia insediato.

Dunque, cosa vogliamo fare? Si vuol cambiare questo Paese? Sì? E allora è necessario cambiare il modo di pensare dei cittadini, serve mettere in cantiere riforme profonde, occorre scuotere il Paese delle fondamenta, rischiando una “guerra civile” che duri decenni.

Perché ci saranno resistenze fortissime, superabili solo con mandati elettorali quasi bulgari e molti, molti morti (in senso politico e sociale) sul terreno di battaglia. Vogliamo iniziare, o vogliamo continuare a fare le vittime?

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