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Discontinuità e fine del terrore sanitario: cosa ci aspettiamo dal ministro Schillaci

Pur volendo concedere tutte le attenuanti del caso, la nuova politica sanitaria non può conoscere tentennamenti: eliminare qualsiasi obbligo o divieto

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C’è molta curiosità intorno al nuovo ministro della salute, Orazio Schillaci. Da tanti il congedo di Roberto Speranza è stato vissuto come una sorta di liberazione dopo un biennio di intransigenza sanitaria e cocciute restrizioni.

Schillaci a Uno Mattina

Perciò, aveva destato allarme la possibile candidatura di Licia Ronzulli, per fortuna tramontata, che nell’era pandemica aveva espresso delle opinioni molto simili a quelle del segretario di Articolo 1. Eppure, non appena insediato, è spuntato un video della partecipazione del neo ministro (allora nei panni di rettore dell’Università di Tor Vergata) alla trasmissione della Rai Uno Mattina.

Oltre a essersi rallegrato in quell’occasione del fatto che oltre il 90 per cento degli studenti universitari si fosse “liberamente” immunizzato lodandone “il senso civico”, aveva anche anche definito “il Green Pass uno strumento indispensabile per assicurare la sicurezza all’interno delle aule universitarie”. Eravamo nell’ottobre del 2021 e forse quest’intervista è figlia dei suoi tempi.

Eppure fa una certa impressione ascoltarla adesso quando la stagione del terrore sanitaria sembra definitivamente terminata. È possibile che l’ex rettore abbia rivisto le sue posizioni anche alla luce delle ulteriori evidenze che hanno dimostrato come il Green Pass sia stato solamente uno strumento di coercizione e controllo sociale non avendo fornito alcuna patente di immunità ai suoi possessori.

Certo, appare anche piuttosto paradossale il richiamo al senso civico degli studenti e a una loro ipotetica libera scelta che, in effetti, è stata condizionata proprio dalla necessità di dotarsi dell’odioso lasciapassare per frequentare i corsi universitari e conservare un po’ di vita sociale.

Tuttavia, pur volendo concedere tutte le attenuanti del caso, la nuova politica sanitaria non può conoscere tentennamenti e, soprattutto, deve avere un obiettivo molto chiaro: archiviare il tremendo biennio pandemico ed eliminare qualsiasi ulteriore obbligo o divieto.

Green Pass senza fondamento

Su Libero, per esempio, il direttore dell’Istituto Spallanzani, Francesco Vaia, ha proposto di abolire il bollettino di contagi e decessi che è stato per mesi la sovrastruttura della narrazione pandemica: “È un calcolo sbagliato, serve solo ad alimentare angoscia. Mantenerlo danneggia il Paese”.

Peraltro, il dottor Vaia, che pure nei momenti più duri dell’epidemia non ha mai tenuto una posizione estrema come quella di altri suoi colleghi, ha spiegato che “il Green Pass non ha più alcun fondamento scientifico (se mai lo ha avuto, ndr) in base all’evoluzione che la malattia ha avuto”. Insomma, va abolito senza se e senza ma.

Il flop della quarta dose

Inoltre, ha aggiunto che è un errore pensare che le persone immunizzate non possono ammalarsi e, quindi, essere a loro volta contagiose: “Gli italiani l’hanno capito e non fanno i richiami”. Da qui il flop della quarta dose somministrata solo al 7 per cento degli italiani e una presa di coscienza da parte delle persone non più disposti a seguire acriticamente ogni precetto sanitario veicolato da politici e media.

Infine, Vaia ha stigmatizzato il furore ideologico che ha portato alla costrizione nei confronti dei più giovani e all’ostracismo nei confronti dei renitenti all’iniezione. In definitiva, Vaia ha smontato tutti i pilastri del fondamentalismo sanitario offrendo una visione più liberale, più tollerante, più illuminata e, probabilmente, più efficace per il futuro.

Discontinuità

Sarebbe lecito attendersi queste stesse parole dal ministro in carica. D’altronde, è stata proprio Giorgia Meloni a promettere non solo una commissione d’inchiesta sulle scelte assunte in era pandemica ma anche l’abolizione del Green Pass e di qualsiasi altra restrizione garantendo un approccio più rispettoso dei diritti dei cittadini e meno ideologico.

Ora si tratta solo di tener fede agli impegni presi in campagna elettorale. Perciò, spetta al neo ministro fornire un segnale di netta discontinuità rispetto al suo predecessore, marcando le distanze dal metodo tremendista che ha caratterizzato l’interminabile biennio pandemico.

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