Politica

La casa, ultima frontiera della libertà

Il campo di battaglia di una nuova stagione di dirigismo abitativo. Sotto il pretesto della tutela, si impone un modello uniforme del vivere. Bisogna riscoprire l’abitare come espressione di libertà

casa Camera © Leonid Andronov e Billion Photos tramite Canva.com

Obblighi assicurativi, vincoli energetici, restrizioni agli affitti brevi, tetti ai canoni e regolamenti di condominio imposti dall’alto: la casa è diventata il campo di battaglia di una nuova stagione di dirigismo abitativo. Sotto il pretesto della tutela, si impone un modello uniforme del vivere, che cancella l’autonomia dell’individuo e trasforma la proprietà in un contenitore gestito dallo Stato. Ma la casa non è una funzione pubblica da amministrare. È il luogo della libertà privata, e come tale dovrebbe restare.

Nella Grecia classica

Questa verità era chiarissima alle civiltà del mondo antico. Nell’Atene classica, ad esempio, l’abitazione non era mai concepita come diritto calato dall’alto. Era invero un fatto privato, costruito nel tempo, legato alla disponibilità economica e alla volontà del singolo.

Il demo non distribuiva case, né pianificava i quartieri: ogni famiglia si procurava la propria dimora, secondo le proprie capacità. Il risultato era un paesaggio urbano variegato, flessibile, spesso asimmetrico, ma vitale e funzionale. Le case si adattavano al terreno, al sole, alle attività familiari: si viveva secondo ciò che si era, non secondo ciò che era prescritto.

Nell’antica Roma

A Roma, poi, il diritto alla proprietà edilizia era tutelato, e ciò senza che lo Stato si sostituisse al cittadino nella progettazione e nell’uso dell’abitazione. Le domus delle élite, le insulae popolari, le ville suburbane nascevano da iniziativa privata e si distinguevano per forma, materiali, distribuzione interna.

Le normative pubbliche, come gli editti degli edili o i provvedimenti imperiali, intervenivano in casi specifici per garantire la sicurezza – come la stabilità strutturale degli edifici o la larghezza delle strade – ma non imponevano modelli abitativi o criteri uniformi. L’innovazione architettonica non fu mai frutto di regolamento, ma di inventiva, sperimentazione e concorrenza.

Alessandria d’Egitto

Un esempio emblematico, in epoca ellenistica, è tuttavia rappresentato da Alessandria d’Egitto, fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C. e sviluppata come nuova capitale dei Lagidi. Pur impostata su una pianta razionale, la città lasciava ampio margine all’iniziativa privata. Le abitazioni, diverse per tipologia e distribuzione, si adattavano alle esigenze di chi le costruiva.

La regolarità dello schema viario non impediva la varietà: residenze aristocratiche, case a cortile, spazi misti convivevano nello stesso tessuto urbano, senza che un’autorità centrale imponesse vincoli uniformanti. Anche nelle zone monumentali, affacciate sul porto o prossime agli edifici pubblici, si riscontrava una notevole libertà edilizia.

Le case non seguivano un modello unico, ma rispecchiavano le preferenze e le possibilità dei proprietari. Nessuna regolamentazione invasiva definiva come o dove abitare: la progettazione era frutto di scelta, non di concessione. Una città viva e stratificata, dove l’ordine urbano non dipendeva da divieti, ma dalla capacità dei singoli di dare forma al proprio spazio.

Oggi meno libertà

A differenza di quanto avveniva nel mondo antico, oggi l’abitazione è sempre più trattata come un elemento da incasellare entro schemi prestabiliti. Zonizzazione, piani regolatori, destinazioni d’uso vincolate, bonus edilizi soggetti a condizioni mutevoli: tutto concorre a restringere lo spazio della libertà abitativa.

Non si costruisce più dove c’è bisogno o desiderio, ma dove è consentito. Non si amplia ciò che serve, ma ciò che è autorizzato. Gli interessati devono adeguarsi a criteri imposti dall’esterno, spesso scollegati dalla realtà sociale ed economica in cui vive.

Se un tempo l’ambiente urbano si modellava sulla vita delle persone, oggi è la vita a dover piegarsi alla griglia urbanistica. La rigidità della pianificazione impedisce l’adattamento spontaneo, scoraggia l’iniziativa, blocca le trasformazioni fisiologiche del tessuto urbano.

L’edilizia non risponde più all’evoluzione della domanda, ma alla lentezza dell’apparato. E così le città non crescono: si irrigidiscono, si svuotano, invecchiano.

L’attacco agli affitti brevi

Lo stesso succede con la regolazione degli affitti. Le recenti tendenze a fissare tetti ai canoni, a limitare la durata, a condizionare le modalità di locazione, partono da un presupposto pericoloso: che il mercato sia sospetto, e che le persone non siano in grado di agire razionalmente. Ma il risultato è sempre lo stesso: l’offerta diminuisce, l’interesse a investire scompare, le case restano vuote o vengono ritirate dal mercato. In nome dell’accessibilità si finisce per ostacolare l’accesso.

In tale contesto, ancora più grave è l’attacco agli affitti brevi, visti come “colpevoli” di alterare l’equilibrio dei centri storici. Si invocano tetti, licenze, limiti di giorni, addirittura distinzioni tra prime e seconde case. Ma siffatta tipologia di locazione è, in sé, una scelta legittima e spesso vitale per il proprietario. È un modo di valorizzare l’immobile, di integrarlo nella vita economica, di rispondere a una domanda reale. Sopprimerlo o limitarlo significa negare la disponibilità piena del bene.

L’individuo, ormai, è visto non più come titolare della casa, ma come gestore per conto di altri. L’abitazione è pensata non come spazio privato, ma come strumento di politiche pubbliche: ambientali, redistributive, assistenziali. Il paradosso è che si parla sempre più di “diritto alla casa”, ma si svuota progressivamente il diritto di scegliere cosa farne.

Casa è libertà

In conclusione, la casa nel mondo antico era un fatto personale, familiare, talvolta comunitario, ma mai collettivo in senso dirigista. Nessuna autorità si arrogava il potere di stabilire come dovesse essere un’abitazione. Era l’individuo stesso a progettarla, costruirla, trasformarla. Era, nel senso più pieno, il padrone del proprio spazio.

Quella figura autonoma ha ora lasciato spazio a un utente, a un destinatario, a un locatario per concessione. Ma la casa è davvero propria solo se ne può decidere l’uso, se è possibile affittarla, modificarla, venderla, lasciarla, ereditarla, senza dover chiedere permesso né giustificazioni. La proprietà non è un’autorizzazione: è un diritto. E ogni diritto, per esistere, dev’essere pieno, non parziale.

Difendere la casa, pertanto, non significa proteggere una rendita, ma riaffermare un principio essenziale: che la libertà comincia là dove l’autorità si arresta. E quel confine, da sempre, sono le mura domestiche. Quando l’individuo perde il potere di decidere sul proprio spazio, resta solo l’illusione della libertà. Perché, se la casa non è davvero nostra, nulla lo è.

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