Politica

L’individuo e le sue libertà non svaniscono con l’incarico pubblico

Il mainstream politicamente corretto sta minacciando troppe persone perché tacciano, perché non pensino, perché non contribuiscano al dibattito franco e libero

Marcello De Angelis in una intervista a San Marino RTV

Sarà l’eccessiva sensibilità di chi crede davvero nella libertà di manifestazione del pensiero come fondamento essenziale del vivere civile, ma credo di potere affermare che viviamo tempi difficili per chi abbia a cuore il diritto di parlare, criticare e dissentire.

Il portavoce della Regione Lazio, Marcello De Angelis, ha espresso la sua opinione circa la conformità a giustizia di una sentenza passata in giudicato. La gran cassa cacofonica del mainstream, di rimando alla innocua manifestazione del pensiero di De Angelis, ha emesso un altro e più compromettente verdetto: il portavoce deve dimettersi, dopo avere, naturalmente, profferito le necessarie scuse, non si comprende bene a chi e per cosa.

Una sola verità

La presa di posizione delle belve di professione può trovare una sola spiegazione: De Angelis si sarebbe dovuto dimettere perché esisterebbe una sola verità, quella scritta nelle sentenze, e non si dovrebbe mai dubitare che gli uomini abbiano commesso un errore proprio nello svolgimento dell’attività più complicata di tutte, quella di giudicare i propri simili.

È così sono stati tirati in ballo, nell’ordine, il mancato rispetto delle vittime, come se non esistesse comunque una sentenza che ha individuato i responsabili e che è stata eseguita dagli organi dello Stato proprio per tutelare le persone offese; la necessità di rispettare le sentenze, come se nei procedimenti giudiziari si potesse addivenire alla verità assoluta e non esistesse, tanto per fare un esempio, l’istituto della revisione; altre amenità ad uso e consumo della bassa polemica politica agostana.

L’uomo oltre il funzionario

Ma c’è dell’altro. Le dimissioni di De Angelis sono state chieste perché egli non avrebbe potuto, nella sua qualità di portavoce della Regione Lazio, esprimere contestazioni su ciò che è stato accertato nella sentenza, in quanto, assunta quella veste ufficiale di funzionario pubblico, la sua individualità si sarebbe liquefatta. Esisterebbe solo il funzionario pubblico De Angelis, portavoce della Regione Lazio, il quale non dovrebbe danneggiare l’immagine dell’istituzione per la quale presta servizio con la sua manifestazione del pensiero.

Cosicché appare spontaneo chiedersi: esiste ancora la persona fisica che ricopre quell’incarico pubblico, esiste ancora l’individuo De Angelis, o esiste solo l’anomia del funzionario pubblico portavoce della Regione Lazio? Vogliono forse dire i rabbiosi contestatori con la bava sempre alla bocca che non appena si accetta un incarico pubblico la persona fisica muore e con essa il suo pensiero, la sua capacità critica, le sue sensibilità? Muore il diritto di contribuire al dibattito pubblico anche su questioni particolarmente spinose? Qualsiasi cosa venga detta non è più detta dall’uomo ma è pronunciata solo, esclusivamente e sempre dal funzionario pubblico?

Quando l’individuo è annichilito

Forse una certa vulgata mainstream non si rende conto della gravità delle conseguenze di alcune prese di posizione ed ha i timpani talmente martellati dal suo stesso inconcludente frastuono da non percepire più, dal fondo di queste assurde battaglie, l’eco di periodi storici nefasti, nel corso dei quali l’individualità è stata annichilita dall’uniformità, spesso di una divisa, purtroppo. Esiterà ancora uno spazio per l’uomo che vuole spogliarsi, quando lo ritiene necessario, delle vesti del funzionario di Stato e che vuole esprimere un’opinione, anche la più criticabile?

È già accaduto con i professori universitari: le opinioni politiche di alcuni docenti sono state sanzionate pesantemente negli ultimi anni perché avrebbero coinvolto l’istituzione pubblica e ciò non sarebbe stato tollerabile persino secondo l’opinione di alcuni tribunali. E torniamo alla questione principale: chi assume le vesti di professore universitario non è più individuo? Esiste solo in quanto accademico? Non può più godere di spazi pubblici e privati all’interno dei quali manifestare il proprio pensiero civilmente e senza violenza? Non può più dissentire da presunte verità ufficiali? È condannato all’anomia e al silenzio? In quali occasioni sara l’uomo Tizio e non solo il Prof Tizio? Rimarrà a questo soggetto una sua vita che non sia solo quella sequestrata dalla dimensione statale e pubblica?

La minaccia di sanzioni a destra e a manca per il solo fatto di avere manifestato un pensiero e la furia animalesca con la quale si chiedono dimissioni ad ogni piè sospinto impoveriranno il dibattito pubblico, annichileranno la critica, distruggeranno la ricerca, perché in molti, in troppi, si priveranno della libertà di parlare (se non lo sapete, lo fanno già adesso), si auto censureranno e il resto del pubblico non potrà ascoltare il loro contributo, quale che esso sia.

Il mainstream del politicamente corretto sta minacciando troppe persone perché tacciano, perché non pensino, perché non forniscano il loro contributo al dibattito franco e libero.

Il rispetto delle sentenze

E a coloro che in modo sconclusionato hanno replicato che non abbiamo fatto lo stesso discorso quando abbiamo rimproverato ad una certa magistratura militante d’interferire con l’autonomia del Parlamento, è appena il caso di rammentare che in quella circostanza la questione che si è posta non è stata quella della libertà dei giudici di manifestare la loro opinione, ma è stata quella, ben più rilevante, di non fare di una certa magistratura il legislatore supremo dell’intera nazione espropriando le funzioni del Parlamento.

E allo stesso modo appare del tutto banale l’osservazione di chi afferma che le sentenze si rispettano, perché le sentenze si eseguono, e in ciò sta la forza dello Stato e la soddisfazione dell’esigenza della certezza giuridica e dell’ordine pubblico. Il rispetto del contenuto della sentenza è una questione che attiene, invece, al foro interiore della coscienza morale di ciascun uomo libero. E questa differenza necessita di essere sottolineata sempre più spesso di fronte alle banalità che vorrebbero impedire la revisione critica di qualsiasi decisione giudiziaria. Forse è il caso di ululare di meno.

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