Politica

L’uomo lotta da sempre con la natura: perché il nostro territorio è più vulnerabile

Giovanni Brussato: aumento del rischio idrogeologico a causa di urbanizzazione e incuria del territorio. Danni maggiori a prescindere dalla reale scala dell’evento

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Torniamo a parlare con Giovanni Brussato, ingegnere minerario e opinionista per numerose testate, tra cui Panorama, dove si occupa di questioni relative a clima e materie prime, questa volte delle polemiche sulle esondazioni che hanno colpito l’Emilia Romagna.

Eventi diffusi e frequenti

MARCO HUGO BARSOTTI: Chi indica nei cambiamenti climatici la causa di questi eventi “estremi”, sostiene che siano sempre più frequenti e di una violenza senza precedenti. Ma è proprio così?

GIOVANNI BRUSSATO: Mi permetto di segnalare due contributi, uno dal libro “Ravenna. Una storia millenaria”, di Leardo Mascanzoni (Giunti Editore). A pagine 23 si legge:

Infatti nei centosettantuno anni trascorsi tra il 1544 e il 1715 si erano verificate, ai danni del suo centro abitato, ben quindici alluvioni di cui la più seria, quella del maggio 1636, con il crollo e il danneggiamento di centinaia di case aggredite dalle acque fino ai secondi piani, aveva causato un vero e proprio disastro, demografico ed urbanistico.

Ed uno del Cnr, dove oltre ad elencare alcune delle inondazioni che dal 1951 hanno colpito il nostro Paese, spiega come in realtà si tratti di fenomeni ciclici:

Le inondazioni sono eventi diffusi e frequenti in Italia, e causano vittime e danni rilevanti ogni anno. Malgrado la loro diffusione, le problematiche connesse a tali calamità restano sconosciute alla maggioranza dei cittadini che mostrano, inoltre, una scarsa percezione dei rischi geo-idrologici a cui sono soggetti.

Così come spiegavo in un vecchio tweet di alcuni anni fa, pubblicando una foto scattata a Bad Schandau, in Germania, nei luoghi dell’alluvione, esistono anche database meno sofisticati ma altrettanto efficaci…

Bad Schandau, Germania

MHB: Ma si può stabilire una correlazione causa-effetto?

GB: Oggi ogni evento viene presentato come apocalittico, talvolta dimenticando che l’uomo lotta da sempre con la natura.

La dinamicità e variabilità dell’ambiente non è parametrizzabile con semplici modelli poiché i meccanismi fisici che governano questi eventi idrogeologici, che preferisco definire critici, più che estremi, presentano complessità, come ad esempio la corrispondenza tra un evento pluviometrico e una frana, o la piena di un corso d’acqua, non definibili con relazioni lineari.

Il territorio italiano è storicamente suscettibile a fenomeni di dissesto dovuti alle peculiarità geologiche e geomorfologiche che si sommano agli aspetti meteorologici ed ora anche alle evidenze dell’evoluzione del clima.

Lo sviluppo urbanistico

MHB: Insomma, il dissesto idrogeologico…

GB: Sì. E la progressiva antropizzazione ha prodotto l’aumento esponenziale del potenziale dei danni che qualsiasi evento più o meno estremo può produrre.

Lo sviluppo urbanistico ha determinato un aumento esponenziale degli elementi, quali abitazioni, strutture industriali e turistiche ed altre, potenzialmente esposti al rischio. Ed un conseguente incremento degli impatti socio-economici, cioè in termini di vittime e di danni prodotti.

Ci sono studi recenti che stimano come l’aumento attuale del rischio idrogeologico sia da ricondurre all’aumento della vulnerabilità del territorio, dovuto, per esempio, all’occupazione di aree pericolose con infrastrutture e insediamenti. Questo per la domanda continua di aree edificabili e le conseguenti espansioni urbanistiche che spesso invadono gli spazi necessari ai processi naturali.

Il risultato è che il danno prodotto tende inevitabilmente a crescere spesso a prescindere dalla reale scala dell’evento. Nel contempo non crescono, in misura uguale alla crescita di questo potenziale distruttivo, le necessarie opere idrauliche di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, spesso sottodimensionate o soggette ad una gestione carente.

Opere che compensino anche gli impatti sulle acque meteoriche di altre attività antropiche in progressivo abbandono come le pratiche selvi-colturali sui rilievi, o dovute ai numerosi incendi, spontanei o dolosi.

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