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Medici riammessi, le bizze di Emiliano e De Luca: ma una sentenza gli dà torto

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Già durante la lunga stagione pandemica si è verificato un pericoloso cortocircuito nei rapporti tra lo Stato e le Regioni. Sull’onda dell’emergenza e dei Dpcm contiani, si sono allargati a dismisura i poteri delle amministrazioni locali consentendo ai presidenti di regione di assumere provvedimenti più restrittivi rispetto a quelli adottati a livello centrale.

Provvedimenti che, comunque, hanno sollevato diversi dubbi perché sono andati a incidere addirittura su diritti costituzionalmente tutelati quando hanno limitato in maniera pesante la libertà di circolazione o imposto l’isolamento domiciliare.

Va senza dire che, oltre ad aver disorientato i cittadini, questo modo di procedere non è sembrato rispettoso del principio di leale collaborazione più volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Poi, è arrivata l’era draghiana che ha un po’ arginato l’intraprendenza delle Regioni limitandone il raggio di azione attraverso l’adozione di decreti legge che, per quanto discutibili sul piano sostanziale, non prestavano il fianco alla normazione concorrente degli enti locali, collocandosi nell’ambito della gerarchia delle fonti ad un livello decisamente superiore rispetto ai famosi Dpcm.

Questo non sempre è servito a impedire il protagonismo di alcuni amministratori locali ma almeno non ha creato fastidiose differenziazioni tra la disciplina statale e quella regionale. O, almeno, l’ha sensibilmente ridotta.

Ora, dopo il primo decreto legge del governo Meloni che ha riammesso in corsia il personale sanitario non immunizzato con un paio di mesi di anticipo rispetto al provvedimento in vigore, si sono rinvigoriti alcuni presidenti di regione che hanno sfidato apertamente l’Esecutivo.

De Luca

Tra questi il sempre battagliero Vincenzo De Luca, presidente della Campania, e Michele Emiliano suo omologo pugliese. Il primo, a mezzo social, ha scritto che ritiene “gravissimo e irresponsabile” riportare negli ospedali e nelle Rsa il personale non in regola con le dosi anti-Covid.

“È un’offesa alla stragrande maggioranza dei medici e degli infermieri che si sono comportati in maniera deontologica e responsabile, ed è un’offesa ai pazienti”, ha tuonato dalla sua pirotecnica pagina Facebook. Eppure, ormai lo sanno anche le pietre che, pur avendo assunto il siero, ci si può ammalare ed essere contagiosi.

Una possibile falla

Ergo, non si comprende quale sia il presupposto scientifico di questa intemerata. Inoltre, con successivo post, ha annunciato di aver emanato una direttiva indirizzata ai responsabili delle Asl a mezzo della quale impone di impiegare il personale reintegrato in modo da evitare che abbia contatti con i pazienti.

La norma appare, a dir poco, opinabile anche se il neo ministro Orazio Schillaci ha dichiarato al Corriere di aver demandato alle singole direzioni sanitarie la decisione circa le mansioni da assegnare ai renitenti alla puntura. In questo modo, allora, si apre la falla che lascia spazio poi alle Regioni che intendono mettersi di traverso rispetto alle decisioni assunte a Roma.

Emiliano

Non a caso, Emiliano va oltre l’ostinazione deluchiana appellandosi ad una legge regionale che imporrebbe l’immunizzazione agli operatori sanitari. Il governo, attraverso il sottosegretario alla salute, Marcello Gemmato, ha fatto sapere che impugnerà il provvedimento pugliese.

Emiliano ha risposto piccato accusando Gemmato di non conoscere il rapporto tra le leggi nazionali e quelle regionali: “Si cimenta in arditi ragionamenti giuridici annunciando l’impugnazione della legge pugliese, e così facendo fa fare al governo del quale fa parte una pessima figura. I termini per l’impugnazione infatti sono ampiamente scaduti”.

La sentenza Cartabia

Per la verità, la Corte costituzionale con sentenza n. 137 del 2019 – redatta dall’ex ministro Cartabia -, proprio dichiarando l’illegittimità di un articolo della legge regionale pugliese n. 27 del 2018, ha stabilito un principio cardine del sistema: la materia dei trattamenti sanitari obbligatori può essere regolata solo con legge statale come sancito dall’art. 32 della Costituzione.

Ergo, il fatto che una singola Regione ne imponga ulteriori rispetto a quelli stabiliti a livello statale travalica i confini dei limiti di competenza concorrente in materia di diritto alla salute stabiliti dall’art. 117 terzo comma della Costituzione che riserva appunto allo Stato il compito di imporre – a determinate condizioni – l’obbligatorietà.

Senza considerare il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge leso dalla differenza di regime normativo tra una Regione e l’altra.

Regionalismo impulsivo

Peraltro, stupisce che proprio due presidenti così dinamici, sempre pronti a smarcarsi dalle decisioni assunte a livello nazionale e a rivendicare la propria indipendenza, siano poi arcigni oppositori dell’autonomia differenziata che, tuttavia, implicherebbe un minore afflusso di fondi statali e un maggior controllo di spesa in ambito regionale.

Che poi, di fronte a questi conflitti istituzionali e al disordine normativo che ne deriva, paradossalmente anche il più acerrimo federalista comincia ad avvertire un’irrefrenabile voglia di centralismo.

Anche perché questo regionalismo così impulsivo incide negativamente sia sulla certezza del diritto che sull’unità dell’ordinamento giuridico. Oltre che sul principio di leale collaborazione ormai ridotto a mero simulacro.