Politica

Non è mai esistita la mitologica “vera sinistra” che va di moda rimpiangere

Niente delle miserie della sinistra di oggi è inventato, nuovo. Ma la mera prosecuzione della discriminazione con altri argomenti: io democratico, tu fascista

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Va di moda tra i comunisti più tronfi (ma ce ne sono di diversi?) definirsi apostati, eretici, orfani della vera sinistra, per dire quella vecchia, ammuffita, mirabilmente colma di ideali e di cultura.

Ne fanno sfoggio i comunisti senili come Vauro o Sansonetti, che usano il millantato garantismo, a seconda, come impunità pretesa, vedi il caso Battisti, imbarazzante per tutti ma non per chi lo difese a sproposito, o come degnazione: tu sei “obiettivamente fascista”, ma io ti faccio parlare lo stesso. Oppure: non sei fascista, fai schifo lo stesso, ma ti lascio parlare. E già qui, il lascito della sinistra senza tempo si decanta da sé.

Il lascito del comunismo

Certo, quella di oggi è una sinistra patetica, che irrita, che fa incazzare per quanto vacua e opportunista, votata ai soldi – è quella che un sociologo d’area come Luca Ricolfi non si stanca di spiaccicare al muro delle sue vanità, un saggio dopo l’altro, pur continuando idealmente a farne parte: chi glielo faccia fare, a Ricolfi, non si sa.

Ma la doppiezza, il calcolo, sono nati da questa sinistra etnica coi soldi nella cuccia, o sono piuttosto il lascito del comunismo d’antan, del trinariciuto di Guareschi, il voltagabbana con l’ottusità orgogliosa del cretino?

Ricolfi, con lui altri, fa bene a squadernare volta a volta contraddizioni e meschinità di “questa” sinistra: forse dovrebbe precisare che c’è un filo rosso a legarla all’altra, una questione genetica, una tara ereditaria.

Niente delle miserie di oggi è inventato, tutto è, al più, degenerato da una koiné, da una filosofia morale marxista: nell’io “io ti schiaccerò”, di Marx, in quel precisare ad Engels che scriverà moltissimo, nel modo più fumoso, “in modo da avere pur sempre ragione”, sta già il germe delle “cimici borghesi da schiacciare” di Gramsci, quindi della teorizzazione della superiorità culturale e dunque morale, che, con la violenza della censura (quando non delle armi), porta inesorabilmente alla mocciosa del kollettivo, “i fascisti qui non entrano e chi è fascista lo decidiamo noi”, alla stella a 5 punte al collo di Vauro, alla finta, oleosa tolleranza di Sansonetti.

Dal ’22 agli anni ’70

Siamo nel ’22, inteso come Duemila, ma potremmo essere nell’altro ’22, quello che cercava con arroganza sterile di opporsi alla marcia fascista su Roma. Oppure nel fatidico ’68, che imponeva il gramscismo in versione pop, tutto è cultura se lo diciamo noi, fumettari, scrittori pornografici, cinema onanista, teatro da guerriglia ma a sovvenzione pubblica, eccetera.

O ancora nel ’77 in cui la cultura era ormai ridotta a un’idea di spontaneismo armato, spontaneo per modo di dire perché dietro c’erano le muffe dei pensatori riciclo, come Toni Negri, che importava, zitto zitto, il dibattito tedesco sulla socialdemocrazia, ancora sconosciuto in Italia, ricamandoci sopra strampalati arabeschi di violenza.

O l’operaismo di Tronti, uno che influiva pure sulle emergenti Brigate Rosse, a loro volta tragicamente disconnesse dal reale: sognavano società vietnamite e cambogiane, cinesi, cubane, senza avvedersi che la robotica stava già mettendo fuori gioco la classe operaia. O tutta una produzione letteraria, una pubblicistica targata Einaudi e Feltrinelli, di piombo, incommestibile.

L’austerità di Berlinguer

Intanto Enrico Berlinguer, in fama di semidio del comunismo italiano, rubli da Mosca e ombrello Nato, non trovava di meglio che una squinternata morale penitenziale, da cattolicesimo reazionario o magico: pretendeva l’austerity, tentava di bloccare il mare della tecnologia con il cucchiaio dell’ideologia sabotando l’avvento della tivù a colori, distraente per le masse.

La cultura doveva continuare ad essere nei ritratti delle care salme alle pareti delle sezioni, qualcuna finita in sgabuzzino ma ancora lì, pronta per essere riesumata, non si sa mai. Pensa un po’ che idea della società, che strategia di conquista del potere.

Sotto l’apparenza del cipiglio moralista, c’erano i buoni affari, il sottogoverno spartito, piacesse o no alle BR, c’era il lascito del patto non scritto ma avallato da Togliatti: tu DC non mi metti fuorilegge, mi ammetti al colossale banchetto della ricostruzione e io PCI rinuncio alla rivoluzione, anche se le armi le tengo lo stesso (sarebbero poi servite, un quarto di secolo dopo, a munire proprio i nascenti movimenti terroristi, fornite dall’ex partigiano Giambattista Lazagna al delfino Alberto Franceschini, tutto all’insegna della continuità). 

Che cosa si vuol dire con vera sinistra? Che fingeva di pensare agli operai? Che come sempre puntava al potere e anzitutto al soldo che prepara il potere, in modo non dissimile dagli altri, ma sapeva mascherarlo meglio, sapeva meglio condirlo?

La sinistra libertina

Non regge neppure la problematica sulla sessualità: falso, menzognero osservare che la sinistra libertina sia degenerata in censoria: non si pone sinistra comunista senza censura e il comunismo è l’unica idea di sinistra ad avere attecchito qui.

Allo stesso modo, le ossessioni gender della sinistra attuale non sono diverse, non sono altro da quelle del Dopoguerra sulla pedofilia, con Cohn Bendit e Mario Mieli, sul pansessualismo, sulla “dittatura del clitoride” ed altre scempiaggini che lasciavano il tempo che trovavano, posto che erano, in soldoni, la mera prosecuzione della discriminazione: io democratico, tu fascista, con altri mezzi, con altri argomenti.

La sottocultura contemporanea dei guitti e degli istrioni attuali paga pegno ai vecchi, anche se non ne raggiunge autorevolezza e qualità; ma l’approccio è lo stesso, solo adattato alle mutazioni imposte dalla evoluzione, o involuzione, sociologica. 

Fra i senza patria della sinistra attuale, lo stalinista Marco Rizzo che piace molto ai complottisti e alla destra complessata e boccalona. Uno che in tutto vede la longa manus lebbrosa di Usa, Cia, Nato, Nasa, fino alla Nba di basket e se gli fai notare che le sue preferenze, in assenza di Urss, vanno alla Cina di Xi, ti risponde: almeno lì si sa.

Per dire che un comunista vero, puro, non rinuncia a quell’idea di dittatura, di partito totale, di diritti umani che sono un po’ come il garantismo dei nostalgici: te lo concedo, se mi gira, ma resti un fascista, un degenerato borghese e posso schiacciarti quando voglio.

La verità è che la sinistra libertina non c’è mai stata dopo il ‘700, cioè prima di Marx, in Italia poi non ne parliamo, tolta l’eccezione di Marco Pannella, stravagante in ogni senso.

Ma non ha molto senso maledire la sinistra attuale in fama di affarista calata nel globalismo da agenda 2030: ancora una volta, è solo la vecchia teoria, aggiornata ai tempi, dell’eurocomunismo berlingueriano che veniva in scia al Comintern e ai ricorrenti tentativi di unificazione comunista sovranazionale, regolarmente fra colpi bassi, infiltrazioni – ricordare Militant – scissioni deliranti.

Il regime sanitario

Di che parliamo, compagni? Sarete pure il postcomunismo che fa schifo ai comunisti di marmo, ma appena avuto il potere avete saputo creare un regime paranoico e infame, davvero di stampo cinese, con la scusa della sicurezza sanitaria.

Un capolavoro di illegalità, errori, scelte sciagurate dagli effetti devastanti. Vi siete affidati a un banchiere, d’accordo, ma che problema c’era? Quando mai il Politburo non era composto da borghesi sdegnosi con la pretesa leninista di condurre le masse?

E anche le voci di chi, per vezzo intellettuale o carenza di poltrone, vi critica per quei due anni si son fatte molto flebili, più belati che ruggiti. E la tracotanza era sempre quella, di un assessore di provincia sociofobico per diretta ammissione, che pretendeva, lui, di decidere cosa fosse virus e cosa no, cosa andasse fatto o meno, e quale fosse la libertà, quali i suoi confini.

L’aveva perfino scritto, questa è l’occasione che aspettavamo per rifare la società come la voleva Gramsci. E i nostalgici della sinistra verissima, purissima, tetrissima, quella volta tutti zitti.

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