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Partita la campagna anti-riforme, ecco come disinnescarla

Il muro contro muro aiuta chi vuole mantenere lo status quo, auspicabile un punto di contatto con una parte dell’opposizione

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Negli ultimi giorni, si è parlato molto di riforma costituzionale, un argomento su cui il mondo progressista tende eufemisticamente a storcere il naso. Ogni volta che qualcuno prova a riformare la Costituzione, da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni passando per Matteo Renzi, si alzano voci indignate in difesa della nostra Carta fondamentale che secondo numerosi giuristi, politici e giornalisti sarebbe la “più bella del mondo”.

Concetto platealmente smentito dagli stessi padri costituenti che, non a caso, resero modificabile tutta una serie di articoli costituzionali, concepiti da abitanti di questa terra e dunque perfettibili per definizione.

Martedì scorso, il presidente del Consiglio Meloni ha convocato a Montecitorio un vertice con le opposizioni per discutere di come la Carta possa essere ammodernata. Sì, ammodernata: non è affatto una bestemmia voler sostituire gli ingranaggi arrugginiti con ingranaggi più efficienti, semplificando così un sistema farraginoso del quale abbiamo più volte constatato l’arretratezza.

I difensori dello status quo

Eppure, chi ha questi propositi, in Italia, viene guardato con una certa diffidenza. Durante la campagna per il referendum del 2016, Renzi fu oggetto di attacchi violentissimi, soprattutto da parte dei suoi stessi compagni di partito che lo accusarono di aver tradito la missione fondativa del Pd: tutelare la Costituzione e i suoi principi.

Perché questo è il grande paradosso: è come se a credere nei valori enunciati dalla Costituzione fossero soltanto il Pd e le sue propaggini politiche, mediatiche e (perché no?) anche sindacali.

In un colloquio con Marco Zatterin su La Stampa del 12 maggio, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha speso parole di fuoco contro ogni tentativo di riformare la Carta: “Io credo che la Costituzione vada applicata in tutti i suoi principi e valori. Non penso che debba essere modificata. La vera riforma del Paese si fa attuando la Costituzione. Noi siamo contrari all’autonomia differenziata. E se c’è una cosa che funziona è il presidente della Repubblica…”.

Silenzio durante il Covid

C’è da chiedersi dove si trovasse Landini quando alcune libertà fondamentali sono state drasticamente ridotte se non addirittura cancellate per contrastare l’emergenza sanitaria. Molti di coloro che oggi contestano la logica dell’uomo solo al comando, senza peraltro aver saputo ancora in quale direzione il governo intenda muoversi per cambiare la Costituzione, non spesero mezza parola sulla verticalizzazione del potere in tempo di Covid. Eppure, oggi molti di loro pontificano parlando di involuzione democratica.

L’allarme fascismo

Poco fa, abbiamo citato la riforma promossa da Matteo Renzi nel 2016: se l’ex segretario del Pd è stato vittima di una campagna senza tregua per la riforma che portava il suo nome, c’è da immaginare che cosa accadrebbe se si arrivasse ad un referendum su spinta del destra-centro.

L’armamentario ideologico riesumato dalla sinistra ad ogni tornata elettorale verrebbe scagliato per l’ennesima volta contro Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Con una differenza rispetto al passato: se l’allarme fascismo alimentato dal Pd ad ogni elezione ha finito per consolidare l’elettorato di centrodestra (lo scorso 25 settembre, il partito guidato da Giorgia Meloni ha ottenuto circa il 30 per cento dei consensi), fra qualche mese la campagna anti-riforme potrebbe riscontrare un certo successo.

Intesa con il Terzo Polo

Perché? Perché l’Italia è purtroppo un Paese conservatore, restio ai cambiamenti radicali, tantopiù in ambito costituzionale. Proprio per questa ragione, sarebbe auspicabile cercare un punto di contatto con una parte dell’opposizione: non certo con Pd e 5 Stelle, che manterranno una posizione pregiudiziale qualunque sia la proposta avanzata dalla maggioranza, ma con il Terzo Polo che ha aperto all’ipotesi del premierato.

È vero, l’elezione diretta del presidente della Repubblica fortemente auspicata dalla Lega sarebbe forse la soluzione migliore, ma anche la più divisiva agli occhi dell’opinione pubblica. Perché cimentarsi in un braccio di ferro sapendo che esistono margini di mediazione con almeno uno dei partiti di minoranza?

Mettere sul tavolo una sola ipotesi di riforma senza cercare un punto di incontro significherebbe mettere a repentaglio la possibilità di cambiare davvero le cose, dando man forte a chi vorrebbe che l’assetto costituzionale rimanesse immutato. Paradossalmente, a tifare per il braccio di ferro, è chi vuole a tutti i costi mantenere lo status quo. Giorgia Meloni se ne è resa conto. Resta da capire se anche i suoi alleati abbiano assimilato il concetto.

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