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Atene e Sparta. Perché studiare i Classici è cruciale per la Civiltà occidentale

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Qualche giorno fa, con un articolo di una sua giovane reporter, Bre Payton, The Federalist ha tributato un giusto omaggio ad un corso interamente online e del tutto gratuito intitolato “Atene e Sparta”. Organizzato dallo Hillsdale College – un’istituzione culturale che è il vanto e l’orgoglio del conservatorismo americano – e articolato in nove lectures tenute un paio d’anni fa da insigni studiosi del mondo classico, il corso è tuttora disponibile presso il sito del college.

L’articolo si soffermava sulla prima lezione, quella di Larry Arnn, dodicesimo presidente dello Hillsdale, intitolata “Perché studiare i classici?” La risposta che viene data alla domanda è chiara e inequivocabile: perché lo studio e la conoscenza dei classici sono la condicio sine qua non della comprensione della civiltà occidentale. Restringendo il discorso all’argomento specifico del corso, lo studio di Atene e Sparta ci consegna lezioni senza tempo circa la natura umana e i conflitti che hanno sempre agitato l’umanità. Gli ateniesi, spiega Arnn, sono stati i primi esseri umani a pensare a se stessi come “uomini liberi”, cioè entità autonome il cui diritto alla vita e alla proprietà non doveva essere violato da alcuno. Essi ritenevano inoltre che i principi in cui credevano fossero universali e trascendessero il tempo e lo spazio. Da chi, se non dai filosofi greci, gli americani hanno tratto ispirazione per la Dichiarazione d’Indipendenza? “Riteniamo queste verità come auto-evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, e che tra questi ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità.” Per non parlare dei concetti di “vero” e di “buono”. Sparta, a sua volta, ebbe un ruolo essenziale e insostituibile nella difesa dell’indipendenza della Grecia, e questo grazie al culto delle virtù marziali, inclusa naturalmente la virtù del coraggio. Comprendere Atene e Sparta – ciò in cui credevano e per cui combatterono, la loro ascesa e il loro declino – significa comprendere lo spirito umano di ogni tempo e luogo.

Ma l’articolo di The Federalist rende giustizia non solo ad una lodevole iniziativa, ma anche, implicitamente, all’istituzione accademica che l’ha pensato e organizzato. E qui è doveroso spendere qualche parola, soprattutto per chi non ha idea di ciò che il college rappresenta nel contesto culturale americano. L’illustre istituzione accademica prende il nome dal capoluogo di una contea del Michigan della cui esistenza ben pochi sarebbero al corrente se non fosse appunto per il fatto di ospitare il college. Come specificato nel sito web del medesimo, il suo curriculum relativamente alle arti liberali si fonda su quello che chiamano Western heritage, cioè il patrimonio e l’eredità culturale dell’Occidente, inteso come il risultato dell’incontro tra la cultura greco-romana e la tradizione giudaico-cristiana.

Significativamente, l’istituzione rifiuta qualsiasi supporto finanziario federale – al fine di evitare interferenze e condizionamenti – e si avvale principalmente di generose donazioni di facoltosi privati. Fondato nel 1844 da donne e uomini che si proclamavano “grati a Dio per le inestimabili benedizioni derivanti dal godere delle libertà civili e religiose, nonché della devozione religiosa di questa terra”, e che credevano che “la diffusione di una solida preparazione sia essenziale per la perpetuazione di queste benedizioni”. Di più: il college – associato fin dal principo al movimento anti-schiavista, di cui accolse a braccia aperte i leaders, tra i quali Frederick Douglass e Edward Everett – fu il primo in America a proibire qualsiasi discriminazione in base alla razza, al sesso e alla nazionalità di origine. Dopo quello di West Point, inoltre, fu il college da cui in percentuale proveniva il maggior numero di studenti che combatterono per l’Unione nella Guerra Civile. E infine ebbe un ruolo importante nella nascita del Partito Repubblicano.

Personalmente ho conosciuto uno degli alumni dello Hillsdale. La sue definizione del college mi è rimasta impressa nella memoria: “Hillsdale non ti insegna cosa pensare, ma come pensare, e se quello che cerchi è un’educazione che metta gli studenti in condizione di diventare cittadini migliori, Hillsdale è il posto che fa per te”.

Una quindicina di giorni fa, nel discorso di inaugurazione del 166° anno accademico dello Hillsdale, il vicepresidente Mike Pence lo ha definito “un faro della libertà e degli ideali americani” e ha salutato il suo presidente, Larry Arnn, come “un amico e un mentore”, ad ulteriore dimostrazione di quanto questa celebre istituzione accademica sia nel cuore di tutti i conservatori americani.

Il motto stesso del college, del resto, dice tantissimo: Virtus Tentamine Gaudet, che più o meno significa, “La forza gioisce nella sfida”. Tutto il contrario, potremmo dire, della logica attuale dei “save places” secondo cui gli atenei dovrebbero essere i templi del “Pensiero unico” e della political correctness, al riparo, cioè, da qualsiasi confronto con modi di pensare alternativi. Dove “alternativi”, sta quasi sempre per conservatori, libertari e, naturalmente, cristiani.

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