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Avvisate Di Maio: l’elettorato cinque stelle non è “di sinistra”

Ad occhio e croce Di Maio deve essersi convinto che, per recuperare i voti persi per strada dai Cinque Stelle, deve apparire “di sinistra” o comunque antitetico alla Lega e al suo partner di governo Salvini. Da circa due settimane il capo politico del M5S gioca a prendere le distanze, provocare, sabotare le mosse del capo del Viminale, come a voler mostrare ai suoi una differenza a tutti i costi fra la parte gialla e la parte verde del governo, e la lettera al Corriere ne è la prova lampante.

Forse non gli hanno spiegato come si è composto l’elettorato 5 stelle del 4 marzo 2018: definire l’attuale elettorato 5 stelle “di centro-sinistra” o “più tendente a sinistra” è una invenzione di chi cerca di far saltare il governo gialloverde, portare i grillini al tavolo col Pd o addirittura entrambe le cose. Le cose non stanno propriamente così: una rilevazione dell’Istituto Ixè realizzata all’indomani delle elezioni politiche mostrava che il Movimento 5 stelle è stato votato da 1 elettore su 2 di quelli che nel 2013 votarono per Scelta Civica di Mario Monti, cioè quegli elettori che l’anno dopo votarono per Matteo Renzi alle europee secondo una analisi dell’Istituto Cattaneo. Ora: possiamo definire “di sinistra” quegli elettori che nel 2013 votarono Monti e nel 2014 scelsero Renzi?

Intendiamoci, una percentuale di voti che da sinistra si è spostata sui 5 Stelle esiste, ma non è la gran parte: nel 2018, soltanto 1 elettore su 10 di Pd e Sel del 2013 hanno scelto il Movimento 5 stelle, sempre secondo Ixè. Come faceva notare l’Istituto Cattaneo in una analisi successiva alle politiche 2013 inoltre, il M5S non pescò all’epoca solo nell’estrema sinistra ma anche nell’estrema destra. Per farla breve: politologicamente parlando, il M5S è un catch-all party non collocabile a sinistra come vorrebbe il Massimo Cacciari di turno.

D’altronde: il M5S ha lasciato per strada 10 punti percentuali in un anno, secondo i sondaggi; sempre secondo i sondaggi, il Pd del nuovo-vecchio corso (vecchio nel senso di Pd che, con la guida di Zingaretti, si riprende la ditta e torna a somigliare paurosamente ai vecchi Ds) ha sì e no recuperato uno o due punti rispetto al 4 marzo. Basterebbe questo per dire che l’idea di inseguire un elettorato “di sinistra” è semplicemente una favola.

Ci sarebbe poi un’altra domanda da porsi: da dove vengono i 15-16 punti in più guadagnati dalla Lega nei sondaggi rispetto alle elezioni politiche? La risposta, sebbene in questo caso non abbiamo rilevazioni demoscopiche puntuali in merito, è facilmente intuibile: per buona parte sono quei famosi elettori che dal 2013 in poi si spostano con facilità, quelli che hanno votato nel 2013 Monti, nel 2014 Renzi e nel 2018 Di Maio, in questo momento sono orientati verso Salvini e la Lega. Di Maio dovrebbe pensarci bene: puntellare la maggioranza e mostrare affiatamento con il partner di governo ad oggi garantisce la tenuta di consenso, al contrario dei litigi: in caso di divorzio, fra questo 5 stelle e la Lega a trarne maggior beneficio elettorale è proprio quest’ultima. Chissà se nei Cinque Stelle qualcuno si accorgerà della trappola che stanno tendendo loro prima che sia troppo tardi.

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