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Brasile verso il voto: la sinistra brasiliana ancora attratta dal modello venezuelano

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Sul voto di domenica in Brasile credo di poter garantire che le probabilità di un salto nel buio saranno nel caso di vittoria di Bolsonaro solo una minima frazione di quelle che si avrebbero nel caso di vittoria del PT. Il Brasile non è, come vorrebbero far credere quelli di sinistra, una democrazia costantemente in pericolo. È un grande Paese democratico con mille problemi sociali, ma per fortuna con istituzioni che funzionano bene e che hanno dato prova di farlo durante 33 anni di Nuova Repubblica avviata dopo la fine del ventennale regime militare. La minaccia del golpe, del ritorno dei militari, è un argomento classico di propaganda elettorale nelle mani delle sinistre latinoamericane a corto di consensi e di idee: nient’altro che uno strumento di lotta politica che si basa su un castello di menzogne e su una narrazione della realtà totalmente distorta dalle lenti dell’ideologia.

Quello che è vero, invece, è che il PT nel suo programma di governo (che ha già cambiato, annacquandolo un po’, per ben tre volte durante questa campagna nel tentativo di colmare l’enorme gap che lo separa dall’avversario) si preparava a operare radicali modifiche alla Costituzione indicendo l’elezione per una Assemblea costituente che avrebbe dovuto – fra le tante misure previste per ingabbiare le libertà civili e politiche – aumentare il potere di controllo del Governo su giornali, tv e media, e dargli un controllo diretto anche sulla magistratura. E così, gridando da un lato al presunto “golpe delle élites” avvenuto con il democraticissimo impeachment di Dilma Roussef, ma organizzandosi in proprio per un (vero) contro-golpe, davvero si stava preparando da parte del PT una svolta di tipo venezuelano. Sì, perché il Venezuela di Maduro, ancora oggi, con il popolo venezuelano alla fame e pronto a rischiare la vita per abbandonare il proprio Paese, continua ad essere un modello per le sinistre brasiliane incapaci di prenderne le distanze.

Non è un caso che il candidato di Lula, Fernando Haddad, si sia sentito molto a disagio l’altra sera in un dibattito alla Globo durante il quale è stato messo in crisi dalle domande di un ex politico di sinistra – ma di una sinistra poco ideologica e più libertaria, unico politico brasiliano ad aver parlato di una riforma per la legalizzazione della droga e mai ascoltato da nessuno, tantomeno nei governi di sinistra – Fernando Gabeira (da qualche anno divenuto produttore di interessanti programmi per la Globo). Gabeira ha chiesto ad Haddad come il governo del PT si sia comportato nei confronti dell’evidente deriva antidemocratica in Venezuela, di fronte al popolo venezuelano che sembra aver perso ogni speranza di uscita dal tunnel dello sfascio economico e dell’iperinflazione (oltre il 10.000 per cento quest’anno). Perché, gli ha chiesto, il governo del PT non ha avuto il coraggio di rompere con Maduro la tradizionale alleanza “bolivariana” e denunciare la evidente involuzione dittatoriale del regime venezuelano? Haddad ha solo balbettato parole generiche e pilatesche, quindi infami: “Non riteniamo che ci debba essere ingerenza negli affari interni di un altro Paese; noi siamo sempre per la sovranità democratica da parte del popolo, non vogliamo scegliere da che parte stare”. Capito? Parole, è vero, non molto dissimili da quelle pronunciate da Bergoglio in una delle sue ultime – rarissime – esternazioni a proposito del Venezuela. Come si vede, nel mondo della sinistra tutto si tiene, e si man-tiene.

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