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Buena Vista Socialist Club. La Spagna trova un governo ma perde la bussola

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Al secondo tentativo e dopo mesi di tira e molla, martedì 7 gennaio las Cortes regaleranno alla Spagna un governo dopo un lungo periodo di interim. Purtroppo, ci sarà ben poco da festeggiare e gli spagnoli non avranno neanche il tempo di godersi i doni recapitati dai Re Magi, dato che il prossimo gabinetto sarà l’esecutivo più “a sinistra” di tutta l’Unione europea, con prevedibili, pesanti conseguenze per la libertà e l’economia dei cugini iberici.

Cominciamo col dire che si tratta del primo governo di coalizione della storia democratica della Spagna. E che coalizione! Difatti, il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) di Pedro Sánchez, reduce da un ben magro bottino di seggi strappato alle ultime elezioni generali, non ha potuto far altro che cercare appoggi ulteriori rispetto a quelli della pattuglia dei suoi 120 deputati socialisti, del tutto insufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta in una Camera bassa formata da 350 membri. 

Potendo guardare sia a sinistra che a destra (dove sia il Partido Popular che Ciudadanos avrebbero molto probabilmente finito per facilitare la formazione di un governo monocolore socialista o di grande coalizione), un PSOE spostato fortemente a sinistra ha, unsurprisingly, scelto l’alternativa peggiore: allearsi con la sinistra radicale di Podemos, un partito di smaccate simpatie chaviste, le cui proposte spaziano dalla nazionalizzazione di grandi imprese, all’espropriazione de facto delle abitazioni dei proprietari “ricchi” (sic!), a un aumento generalizzato delle imposte fino alla creazione di una banca pubblica e a ricette radicali di aumento del salario minimo e di eliminazione di qualsivoglia forma di flessibilità nel mercato del lavoro. 

Non c’è bisogno di scomodare la sfera di cristallo per sapere quale sarà il programma della futura coalizione di governo, visto che gran parte delle politiche che i due partner si sono impegnati a portare avanti sono già state messe nero su bianco: aumento dell’imposta sulle persone fisiche più abbienti, innalzamento del salario minimo, incremento dell’imposta sulle società (con una incredibile e anacronistica sovra-imposta sulle banche e sulle imprese di idrocarburi), Tobin tax sulle transazioni finanziarie, abrogazione di parti fondamentali della riforma del mercato del lavoro approvata dal governo dei Popolari (che ha contribuito a creare milioni di posti di lavoro), maggiori sovvenzioni pubbliche per i redditi bassi e meccanismi di calmieramento degli affitti. In poche parole: un mezzo Armageddon economico.

Detto per inciso, non che le conseguenze di simili politiche siano sconosciute agli spagnoli. Difatti, il PSOE ebbe già la brillante idea di aumentare in un colpo secco di oltre il 20 per cento il salario minimo nel 2019. Conseguenza: il mercato del lavoro, che tra il 2014 e il 2018 aveva creato ogni anno tra i 200 mila e i 400 mila posti di lavoro, si è sostanzialmente fermato, facendo segnare (nonostante una crescita economica ancora superiore al 2 per cento) il peggior dato dal 2012. 

Evidenza domestica non mancherebbe neanche per quanto riguarda gli effetti delle sconcertanti misure di intervento sul mercato degli affitti. A tal proposito basta guardare alla prima della classe, la Catalogna, dove un mix di misure approvate sia dal Parlamento regionale che a livello statale – tra le quali si annoverano una forte protezione ai morosi e agli okkupa, l’obbligo per i privati di destinare parte delle nuove costruzioni a edilizia popolare (!) e misure tendenti a bloccare l’aumento degli affitti – hanno fatto collassare l’offerta di nuove case e stanno portando a rincari degli affitti proprio quando questi si erano assestati o avevano iniziato a scendere. Insomma, le solite conseguenze impreviste (ma solo dai brocchi in economia) delle politiche socialiste e interventiste. 

Come se non bastasse, il nuovo governo dovrà contare sull’appoggio di fatto di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), partito catalano indipendentista e (molto) di sinistra. Il quale ultimo ha deciso di appoggiare Sánchez sia per motivi di affinità ideologica (un bell’intervento statale rimane l’irresistibile Santo Graal di ogni sinistra planetaria, anche se impegnata in una “lotta di liberazione nazionale”), sia per disfarsi dei fratelli indipendentisti “di destra” (risum teneatis) con cui attualmente governa, in posizione di socio minore, la comunità autonoma catalana. 

Difatti, in un intreccio indiavolato di immunità, inabilitazioni e possibili elezioni anticipate, il piano di ERC è quello di soffiare la presidenza della Catalogna agli attuali soci e governare con un governo di “sinistra-sinistra” assieme alle costole regionali del PSOE e di Podemos, in un do ut des politico che vedrebbe replicare a livello regionale le alchimie politiche sperimentate a Madrid. Alchimie che, se dovessero realizzarsi, renderebbero la Catalogna uno dei posti migliori in Europa per gli investitori – non per metterci i soldi, ça va sans dir, ma per praticare i 100 metri piani per darsela a gambe. 

Non è che sul fronte fiscale le cose vadano molto meglio. La Spagna, difatti, che prima della Grande Crisi aveva livelli di debito e deficit invidiabili, vanta oggi una montagna di passivo pubblico pari a circa il 100 per cento del Pil, e la politica di spesa allegra messa in atto da Sánchez negli ultimi mesi si è tradotta in un disavanzo ben più alto del previsto. Situazione che sta cominciando a innervosire gli investitori, come dimostra uno spread ormai costantemente più alto rispetto a quello portoghese. E non finisce qui.

Infatti, alle preoccupanti prospettive economiche della penisola iberica deve aggiungersi l’improbabile protagonismo di un politico, Sánchez, che sarebbe probabilmente giudicato eccessivamente cinico anche in un Paese abituato a (quasi) tutto come il nostro. Un politico che ha fatto della spregiudicatezza la sua unica stella cometa, mettendola al servizio di una volontà di potere con pochi paragoni. Uno capace di dire, nell’ultimo faccia a faccia televisivo prima delle elezioni, che Podemos gli metteva i brividi, salvo poi siglare un patto con Iglesias (Pablo, leader del partito di estrema sinistra, non Julio, purtroppo) appena 24 ore dopo il responso elettorale, tra sorrisi e abbracci. Roba che neanche i 5 Stelle col Pd! Una persona con stomaco sufficiente per proporre di modificare il codice penale in funzione anti-indipendentista per poi invece finire a mercanteggiare la propria investitura con un leader indipendentista incarcerato. 

Le proposte di tipo “socio-culturale” non sfigurano di certo di fronte a quelle economiche in quanto a potenziale liberticida. Anzi, forse costituiscono il lato più oscuro del manifesto programmatico di un governo che conta sull’appoggio di fatto di un partito che è l’erede politico dell’ETA, senza che ciò provochi grandi rossori al candidato socialista. A onor del vero, oramai neanche lo spagnolo più ingenuo si sorprende di un tale stato di cose, essendo ben risaputo che Sánchez è un politico di convinzioni marxiane, nel senso però del Groucho Marx che si diceva disposto a cambiare princìpi a seconda del gusto dell’interlocutore. 

Dunque ha destato ben poca sorpresa – ma molta, moltissima preoccupazione – quando, nel discorso di investitura, il presidente in pectore ha annunciato misure per creare un “cordone sanitario” contro le “fake news”, vero cavallo di Troia che nella neolingua sta a indicare la volontà di entrare a gamba tesa nella società per limitarne gli spazi di libertà critica. Nello stesso senso vanno gli annunci di provvedimenti contrari a ogni forma di insegnamento che non sia quello impartito dalla scuola pubblica, altra casamatta tradizionale di ogni distopia dirigista, così come l’istituzione di una giornata in onore delle vittime del franchismo. Dimostrazione, quest’ultima, di una memoria storica colpevolmente selettiva e particolarmente crudele in un Paese che fu lacerato da una guerra civile feroce, in cui il bando repubblicano si macchiò anch’esso di una serie di crimini efferati. Ma la tentazione di riscrivere la storia alla luce della vittimizzazione di una sola parte della società si è rivelata evidentemente irresistibile, nonostante il rischio ben più che concreto di riaprire ferite sanguinose. 

Detto tutto ciò, si può con ragione sperare che il nascente governo faccia qualcosa di davvero buono per gli spagnoli: durare il meno possibile. Essendo il frutto di un accordo quantomeno pericolante con un partito indipendentista invischiato in logiche “altre”, ed avendo ben poco margine fiscale a disposizione per i propri sogni interventisti, la vita della “coalizione Frankenstein” (così denominata da Felipe Gonzalez, storico dirigente socialista) potrebbe rivelarsi assai dura, e magari (magari!) richiedere un intervento eutanasico precoce. L’esperimento potrebbe insomma avere successo, sì, ma nel senso indicato da Churchill quando disse che “il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo”. Nel frattempo, hasta la vista, e che Dio gliela mandi buona.

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