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Come si può chiedere e pretendere sicurezza, se i nostri uomini e donne in divisa sono presunti colpevoli?

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Nel 1974 ero un giovane universitario e, alla pari di altri abitanti a Genova, non era infrequente imbattersi in posti di controllo delle Forze dell’Ordine, in quell’epoca attivamente impegnate nelle ricerche del possibile covo ove le Brigate Rosse detenevano il giudice Mario Sossi. Anche se, alla fine, eravamo soltanto dei ragazzi e ne avevamo pienamente l’aspetto, capitava spesso di essere fatti scendere dall’auto, messi senza tanti complimenti a braccia aperte e testa appoggiata sul cofano e perquisiti, non prima di essere stati “invitati” ad aprire bene le gambe con un calcetto inferto dagli anfibi del carabiniere, poliziotto o finanziere che fosse. Nessuno ne faceva un dramma. Sapevamo tutti che lo Stato era impegnato in una vera e propria guerra con i terroristi e che le misure di sicurezza erano eccezionali e necessarie. Lo Stato non si limitava a mostrare i muscoli, ma agiva con forza e risolutezza, che, unitamente alla perseveranza, avrebbero portato alla definitiva sconfitta del terrorismo politico. Forse i più giovani si chiederanno chi potesse essere all’epoca il ministro dell’interno, forse un ex generale in congedo? Nient’affatto: era il senatore Paolo Emilio Taviani, democristiano laico, professore universitario (anche mio), appassionato storico nonché, a suo tempo, membro dell’Assemblea Costituente. Non parliamo quindi di un esponente dell’ultra destra né di persona priva di approfondite conoscenze giuridiche. Ma di comportarsi in tal modo risoluto l’aveva espressamente ordinato il ministro Taviani agli uomini della Polizia. Notare: ho usato il verbo “ordinare” e non già “consigliare” o, men che mai, “indirizzare”. Allora i ministri ordinavano.

All’epoca, pur con un riconosciuto gap tecnologico a favore dei terroristi rispetto alle Forze dell’Ordine, dotate di armi e tecnologie non certamente allo stato dell’arte, quando si decidesse di fare sul serio, si faceva sul serio, ed i risultati non tardavano a giustificare persino qualche misura repressiva di troppo. Ma, lo ripeto, erano altri tempi, e la gente ancora si fidava dello Stato e dei suoi apparati di polizia. Francamente, all’epoca delle volanti verde militare, la gente non si poneva più di tanto il problema di mettere dei paletti per delimitare il potere della polizia. I Tutori dell’Ordine si rispettavano e basta. Persino i delinquenti abituali erano non di rado a complimentarsi con loro per essere riusciti ad arrestarli.

Di terrorismo internazionale sapevamo poco o nulla, ma dovevamo fare i conti con un terrorismo interno (rosso e nero) assolutamente cogente e reale, che colpiva persino nella provincia e con vere e proprie azioni militari talmente studiate nei particolari e portate a termine da persone così addestrate da far impallidire certi jihadisti che perdono i documenti o il cellulare per strada o che sbagliano il momento in cui farsi saltare per aria – cosa, quest’ultima, che nemmeno era necessaria, tanto erano chirurgici certi assalti. Nessun satellite spia era disponibile, nessun tracciamento G.P.S. o del traffico telefonico, nessuna tecnologia d’intercettazione era allora così sofisticata da costruire quell’indispensabile supporto investigativo che oggi sta alla base dell’intelligence. Se poi, soltanto si consideri che internet non esisteva ed i pochi e giganteschi computer erano riservati alle centrali di calcolo matematico, è del tutto evidente quali enormi difficoltà dovessero affrontare gli addetti alla sicurezza nazionale degli anni ’70-’80 del secolo scorso. Eppure i risultati erano, complessivamente, positivi e le ricadute sociali, in termini di consenso popolare, erano incoraggianti e sostanzialmente super partes.

Poi sono arrivate le super tecnologie, la connessioni globali, le stupefacenti possibilità operative dei computer e dei satelliti. Ma, di pari passo, è cresciuta una forma latente di diffidenza per i controlli in genere, per le intrusioni dei buoni nelle vite di altri buoni (che peraltro non hanno scritto in fronte di esserlo e quindi potrebbero sembrare cattivi) e per tutto ciò che potrebbe diventare un sopruso o un eccesso di potere. Ormai siamo tutti garantisti, almeno a parole, e tutti fermamente risoluti a circoscrivere sempre più l’ambito strettamente operativo delle Forze dell’Ordine con un impressionante severità della magistratura nei confronti di eventuali eccessi da queste commessi. Indubbiamente, oggi più che mai, la delimitazione dell’area di intervento della polizia è uno dei principali argomenti politici e motivo di scontro quotidiano tra i partiti. E spesso non è nemmeno più tanto questione di governi di destra o di sinistra, benché proprio la sinistra la sappiamo storicamente un po’ allergica per tradizione agli uomini in divisa.

Ai governanti di turno si chiede di garantire ordine ed una reale sicurezza interna, sempre più minacciata da fenomeni planetari del terrorismo islamico e dai fenomeni legati ad un’immigrazione sempre meno controllata e forse incontrollabile. Le minacce del terzo millennio sono gravissime e certamente richiedono sinergie internazionali e su ciò tutti sembrano essere in pieno accordo, anche se, soprattutto in tema di terrorismo internazionale, sempre più si sopravvalutano le misure di prevenzione, che spesso sono impraticabili, a danno delle misure di repressione, che, in buona sostanza, sono quelle che ogni stato di diritto deve affrontare quotidianamente nelle sue strade.

Assistiamo, quindi, del tutto impotenti, a quotidiane aggressioni di criminali, folli e balordi di ogni specie e colore ai danni dei nostri uomini e delle nostre donne delle Forze dell’Ordine, sempre più timorosi di finire nei guai in caso di denuncia da parte di persone che potrebbero accusarli di violenze, se non addirittura di tortura. Si è ritenuto persino sensato introdurre il reato specifico di torture da parte delle Forze dell’Ordine e sappiamo bene perché si è arrivati a tanto, dopo i deprecabili fatti della scuola Diaz di Genova nel 2001, ove certamente vennero commessi (anche) dei crimini da parte di alcuni agenti della Forza Pubblica del tutto indegni di tale qualifica e che, comunque, sono stati puniti esemplarmente.

Ma la conseguenza è quella che abbiamo sotto gli occhi: poliziotti e carabinieri che addirittura preferiscono subire e salvare il posto di lavoro e non rischiare la galera piuttosto che reagire come dovrebbero fare e come fanno in ogni parte del mondo di fronte ad aggressioni conclamate.

Vi è poi un aspetto tutt’altro che trascurabile di questa sorta di presunzione di violenza in divisa, rasentando l’inversione dell’onere della prova a danno dei poliziotti. Abbiamo creato un precedente pericoloso ed illogico anche sotto il profilo formale: la L.117/2017 così definisce testualmente questa sciagurata ipotesi: “La tortura è ivi individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell’abuso di potere, quindi nell’esercizio arbitrario ed illegale di una forza legittima”.

Se soltanto possiamo ipotizzare tanto probabile la tortura da parte delle Forze dell’Ordine (ancorché in caso di semplice abuso di potere) da creare uno specifico reato, allora vuol dire che i criteri di scelta, di addestramento, di controllo operativo e gerarchico dei nostri poliziotti e carabinieri sono completamente inefficaci e che in Italia assumiamo dei delinquenti e li mettiamo in divisa e con una pistola in mano. Semplicemente assurdo. Bastavano ed avanzavano le aggravanti dell’art. 61 del Codice Penale per i reati commessi dai pubblici ufficiali in servizio e le altre norme speciali vigenti, assolutamente efficaci come deterrenti e sufficientemente punitive per i colpevoli di violenze e sopraffazioni.

Altro che controllare rudemente e perquisire le persone come capitava a noi nel 1974! Adesso nemmeno più si può trattenere uno che scappa o evitare una coltellata al cuore facendo fuoco senza rischiare una condanna per tortura. E poi tutti pronti a deprecare, stigmatizzare, a dimostrare cordoglio e solidarietà alle famiglie dei morti ammazzati e ad organizzare l’immancabile fiaccolata…

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