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Contro il vincolo di mandato

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La prossima campagna elettorale è già iniziata. Mentre al Quirinale il povero presidente Mattarella e il segretario generale Zampetti ospitano le delegazioni dei partiti per le consultazioni, sul web e in tv le zuffe sono tornate all’ordine del giorno sui soliti temi che scaldano la nazione italica nell’annus domini 2018: vitalizi, costi della politica, scorte, auto-blu e così via. Due paroline sul debito pubblico? Giammai!

Su una cosa però i partiti sembrano d’accordo. Per il bene della nazione, per la purezza della nostra vita pubblica, perché è “la gente che ce lo chiede” va introdotto il vincolo di mandato. Il ragionamento (semplicistico) è presto fatto: nella scorsa legislatura sono stati 566 i cosiddetti “cambi di casacca” dei parlamentari, passati da un gruppo all’altro. Un fenomeno deplorevole che va combattuto con ogni mezzo, abolendo la possibilità dei parlamentari di cambiare gruppo. Ora, in primis una cosa balza all’occhio. I partiti avrebbero anche potuto rifiutare la “transumanza” dei colleghi, impedendo loro le revolving doors da un gruppo all’altro. Invece, novelli Raiola, hanno fatto proliferare il calcio-mercato. Perché alla fine uno di più è sempre meglio di uno di meno, e se oggi Baggio gioca nella Juve, domani potrebbe anche giocare nel Milan o nell’Inter.

Per introdurre il vincolo di mandato serve una modifica dell’art. 67 della Costituzione, quello che stabilisce che i parlamentari sono eletti “senza vincolo di mandato”. Di solito, le riforme della Costituzione non portano bene a chi le propone – chiedere a Berlusconi e Renzi – ma in questo caso è probabile che si crei una maggioranza che eviti il referendum confermativo visto che nessun partito o leader politico avrebbe il coraggio di sostenere che il vincolo di mandato è l’anticamera del fascismo, una modalità di concepire la politica tipica dei regimi illiberali, un mezzo che limita la libertà di pensiero – e di agire – dei parlamentari, cui viene negato quello che viene garantito a tutti noi nella vita di tutti i giorni con l’articolo 21 della nostra legge fondamentale. Ma in realtà è proprio così.

Siamo alla solita storiella del cane che si morde la coda. La politica ha ormai così poca stima di se stessa che rincorre le pulsioni del momento, vellica gli istinti peggiori, finendone poi vittima. Tanto da limitarsi la libertà di pensiero e imporsi il vincolo di mandato perché – tanto lo sappiamo no? – la questione non è di cambiare idea ma di appropriarsi la poltrona migliore.

Detto che ci sono fior fior di parlamentari che hanno cambiato partito per perderle le poltrone, non sembra né ragionevole né sano che a un parlamentare venga fatto divieto di aderire a un altro gruppo, se non si ritrova più nelle posizioni del suo. Nella legislatura precedente, per esempio, i parlamentari del Pd sono stati eletti credendo che Bersani facesse il premier della coalizione Bene Comune, ma il responso delle urne, in un sistema spurio ma che sicuramente non prevede il premierato, ha determinato l’uscita di scena di Bersani e la nascita di governi di centrosinistra appoggiati via via da pezzi di centrodestra. Se un parlamentare non si ritrova più in questa logica che cosa deve fare? Portare gli esempi di Scilipoti e Razzi, come fa quotidianamente la nostra stampa venezuelana, può essere comodo per catturare l’attenzione dell’opinione pubblica, ma racconta solo una parte della vicenda.

Eppure, gli ineffabili pentastellati guidati dall’Ayatollah Fico hanno pronto il rimedio: il parlamentare che cambia gruppo si dimette e si presenta agli elettori con il simbolo del suo nuovo partito. Condivisibilissimo. Una logica tipica del sistema anglosassone, dove vige il sistema maggioritario in collegi uninominali. Ma con il Rosatellum che si fa? Se il “transfuga” – prego il lettore di scusare l’uso di questi termini ormai entrati nello squallido linguaggio popolare della politica – è tra il 37 per cento degli eletti nei collegi uninominale si potrebbe anche ripetere la procedura, ma se invece è stato eletto nel restante 63 per cento come procediamo, considerando che le schede elettorali del (geniale) Rosatellum accorpavano maggioritario e proporzionale e che tra ripescaggi, redistribuzione dei resti e candidature plurime non siamo ancora riusciti a decifrare chi sono i 630 deputati e i 315 senatori della Repubblica?

Gli elettori sanno che i parlamentari sono eletti senza vincolo di mandato. Così hanno voluto i nostri Padri Costituenti per garantire la libertà di espressione degli eletti. Una concezione alta della politica e del pensiero, dei diritti, dei doveri e delle prerogative dei parlamentari di cui, purtroppo, si sono perse le tracce.

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