Cultura

Le insopportabili lezioncine dei self made men, veri o presunti

Questa società cafona, mediocre e livellata verso il basso, sembra spingerci ad essere irrispettosi e malfidenti con chi, in qualsiasi campo, ne sappia più di noi

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Il mio direttore, commentando scherzosamente tra noi certi miei articoli, mi dice spesso: “Qui è venuta fuori la tua anima bacchettona…”. Ha ragione. Sto diventando un bel bacchettone, ammesso che non lo sia sempre stato. Ma come si fa a non impugnare la bacchetta di palissandro, muovendola nervosamente in aria e calandola, ora qua ora là, su certe testacce che si vedono in giro?

L’epoca degli ignoranti

Cresce in me un insopprimibile desiderio di tornare, almeno col pensiero e coi ricordi, ai tempi, non lontanissimi, per la verità, in cui parole come “rispetto” e concetti quali “stare al proprio posto” ancora avevano un senso. Non si chiede la luna, dopotutto, non si pretende l’impossibile, dicendo che sarebbe assai meglio per tutti se ciascuno, perlomeno, cercasse di restare nelle proprie competenze e conoscenze, senza pretendere d’insegnare il mestiere degli altri e, magari, evitando d’impartire lezioncine di stile di vita, infarcite oltremodo di grandiose esperienze personali, per cui non passa giorno che qualcuno non provi ad insegnarti come si debba stare al mondo.

Stiamo vivendo l’epoca disgraziata degli ignoranti che pretendono di dare lezioni ai professori, dei bottegai che vorrebbero insegnare a fare la grande industria a chi la fa da almeno tre generazioni, dei mammalucchi che ritengono di essere meritevoli della medesima considerazione che la storia riserva a pochissimi. Partendo dalla scuola, per arrivare alle aziende 3.0 o il-diavolo-che-ti-porti-punto-zero, lo studio, la preparazione, l’esperienza professionale contano ormai quanto il citato zero.

In una società dove il “lei” non lo si riserva nemmeno più al presidente della Repubblica, in un mondo in cui il cliente dell’avvocato, senza nemmeno più rendersene conto, gli somministra lezioni di diritto, tutto ciò sembra perfettamente normale, ma non lo è affatto. Viviamo appiattiti in una mediocrità dove parrebbe che tutti possano tutto, che basti volerlo per avere successo, che nessuno debba alcunché a qualcun altro, che, nel lavoro, ciò che si ha non lo si debba, almeno in parte, anche a qualcun altro.

Tutti fenomeni

Va di moda appuntarsi la medaglia di quello “che si è fatto da solo”. Tutte balle. Nella stragrande maggioranza dei casi, altri hanno dato un insostituibile contributo, magari con un diuturno e silenzioso lavoro che ha evitato guai e spianato la strada per certi successi, senza contare chi ci abbia messo esperienza, testa e dedizione, o persino soldi; tutte cose molto utili a far crescere le attività lavorative.

Una debita citazione aggiuntiva a quell’aliquota di culo che non guasta mai, io la farei, ma non sono io quello “arrivato” né, tanto meno, quello che si è fatto da solo. Al contrario, io ho avuto maestri, figure di riferimento, esempi e, se me lo permettete, tanta applicazione e tanto faticoso studio e pratica delle materie delle quali mi occupo. Riconoscendo ai libri, agli insegnanti, alle tante persone che mi hanno insegnato qualcosa il ruolo di avermi mostrato una possibile strada da percorrere, tutti li ammanto di qualche personale responsabilità, tanto per i successi che per gl’insuccessi, perché, piaccia o no, esattamente così funziona.

Troppo facile sparare cazzate tanto per fare il fenomeno, magari pensando che nessuno ci dia retta o persino per fare lo sborone (termine inelegante ma efficace). I “fai così, fai cosà” si sprecano con la facilità delle stupidaggini della pubblicità, e chi se ne frega se qualcuno, quel così o cosà lo ha poi fatto davvero e si è rotto il naso.

Lezioni al mondo

La “persona di successo” del terzo millennio gode come un riccio nel raccontare la storiella del self made man e, anche quando ciò sia più o meno vero, questa affermazione è sempre accompagnata dal paragone in negativo con chi, per usare un’altra fase fatta, “ha trovato la pappa pronta”. Che, magari, il secondo abbia dalla sua la testa, la preparazione, la cultura e la capacità, non rileva affatto: chi “si è fatto da solo”, anche se sia un perfetto idiota che abbia messo assieme un po’ di soldi, dà lezioni al mondo, con l’aggravante del particolare accanimento di chi sa di parlare con qualcuno che ha meno di lui.

Una storia vecchia, quanto il mondo, quanto l’uomo, una variante della captatio benevolentiae che, all’epoca in cui si studiava ancora le origini e la semantica delle parole trovava un felice acronimo nel termine “snob” ossia “sine nobilitate”.

Ma credo di non essere l’unico a non gradire i raccontini, anche da parte degli amici, coi quali vengo reso edotto di quanta capacità e quanta perseveranza stiano alla base di certe “belle posizioni” che proprio non si riescono a non sbandierare. Oltretutto, cari self made men, dovreste essere più accorti a vantarvi di quanto conosciate di persona i tempi duri, perché potreste trovare qualcuno a chiedervi dimostrazione di ovvia solidarietà e lì cascherebbe non soltanto un asino, ma un intero battaglione di somari.

Al proprio posto

Credo che vivere un’intera esistenza stando sempre dignitosamente al proprio posto sia una prospettiva da almeno indicare, tra le altre, ai giovani e da augurare alle persone a cui si voglia davvero bene. Intendo, una vita nella quale non vi sia grande posto per l’invidia, e quand’anche essa compaia, duri il tempo di un’alzata di spalle. Questa società cafona, mediocre e livellata verso il basso, sembra spingerci ad essere irrispettosi e malfidenti con chi, in qualsiasi campo, ne sappia più di noi, e tutto ciò è un grande imbroglio: chi ne sa più di noi è sempre esistito e così sarà sempre, facciamocene una ragione.

Sapete di cosa ne ho piene le saccocce, in particolare? Delle solite scemenze in stile “La mia educazione viene dalla strada”, “Tu avrai studiato, ma io faccio questo mestiere da 40 anni, per cui so…”, “Qui tutti sono utili e nessuno indispensabile” ed avanti su questo tono, con un’inarrestabile crescendo di luoghi comuni che non fanno affatto il bene delle aziende.

Altro che sinergie

Ma non solo: ciò che non si capisce è l’incompatibilità tra un mondo del lavoro ancora ampiamente basato sul preteso carisma del capo, assai spesso più vantato che reale, con quelle interazioni multi-disciplinari, quelle sinergie, quelle collaborazioni tra partners in cui tutti sembrano credere e che starebbero alla base del nuovo e più proficuo modo di fare impresa: sembrano tutti desiderosi di lavorare in team.

Chiacchiere: in realtà, le cose stanno assai diversamente. Parlavo, giorni fa, con un mio carissimo amico, anche lui professionista da diversi decenni. Mi confermava che non capita soltanto a me vedermi convocare per dare consigli specialistici, quindi darli con sincerità e dignità professionale, anche quando consistano nel comunicare educatamente al cliente che sta sbagliando di grosso, e constatare come lo stesso si offenda immediatamente. Risultato? Potete immaginarlo. Funziona così. E non parliamo di “quelli che si sono fatti da soli”. Con loro perdete tempo (e soldi). Alla faccia delle sinergie ed altre cazzate consimili.

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