Cultura

Marconi e il fascismo: genio italico ma anima britannica e fama internazionale

Maggiore l’interesse del Duce verso Marconi che viceversa: GM non aveva certo bisogno di Mussolini per affermarsi. E morì prima della fase peggiore

Guglielmo Marconi (Luce)

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Guglielmo Marconi, benché mai laureatosi, in quanto la sua istruzione fu, per scelta paterna, interamente privata, ricevette ben 23 lauree ad honorem ed infiniti riconoscimenti ufficiali per la sua opera d’inventore e di abilissimo imprenditore nelle radiocomunicazioni. Divenne senatore del Regno nel 1914 per i suoi alti meriti verso la nazione, oltre che presidente della Accademia d’Italia e del Consiglio nazionale delle ricerche.

Fu, inoltre, Re Vittorio Emanuele III a conferirgli il titolo nobiliare di marchese a titolo ereditario, dopo il secondo matrimonio religioso. Quelle nomine dimostravano l’enorme stima da parte del Regno e del Vaticano di cui godette Marconi, ormai diventato una delle massime celebrità mondiali anche in ambito politico e diplomatico, al punto di venire invitato alla Conferenza di Pace di Parigi, alla fine della Prima Guerra Mondiale, ove aveva partecipato quale ufficiale del neo costituito Istituto Radiotelegrafico della Marina, del quale venne poi messo a capo nel primo Dopoguerra.

Sul suo panfilo Elettra, lungo ben sessanta metri, salirono re e capi di Stato di mezzo mondo, tutti desiderosi di partecipare di persona ad esperimenti di portata planetaria, come l’accensione a distanza, avvenuta il 26 marzo 1930, dell’illuminazione del municipio di Sidney in Australia, tramite un segnale radio partito dalla nave di Marconi, ancorata nel Golfo di Genova.

Marconi e D’Annunzio

Nei primi Anni Venti, iniziarono e furono sempre più frequenti i rapporti con Gabriele D’Annunzio, che già conosceva ed ammirava il genio italico di Marconi. Il Vate era letteralmente stregato dalla telegrafia senza fili e dal suo inventore, della quale apprezzava particolarmente l’aspetto simbolico, al punto tale da riferirsi a quest’ultimo con il termine “Mago”. Pochi giorni dopo l’impresa dannunziana di Fiume del 1919, il poeta pescarese disse del senatore Marconi :

Egli è venuto ad ampliare indefinitamente le onde sonore della voce di Fiume per costruire su la nostra pietra carsica una delle sue guglie di ferro più potenti.

La magniloquente retorica di D’Annunzio era un tratto comune della personalità condiviso con Marconi, entrambi per sensibilità e carattere propensi a cogliere gli aspetti gloriosi dell’ingegno umano e ambedue dotati di una capacità comunicativa ampiamente basata sui riferimenti iperbolici del loro linguaggio. L’amicizia personale tra i due grandi fu comunque una costante realtà per tutta la loro vita.

Marconi e Mussolini

Sappiamo già che la politica, non soltanto italiana, aveva già ampiamente beneficiato del personaggio di cui, meritatamente, si faceva un gran parlare, dalle corti imperiali del lontano Oriente alle cancellerie europee. Ovvio che a Benito Mussolini, già ammiratore di D’Annunzio, il che forniva un ulteriore biglietto da visita da spendere nei confronti del senatore-inventore bolognese, interessasse farselo amico, oltre all’appartenenza di Marconi, che gli spettava di diritto, al Gran Consiglio del Fascismo.

Mussolini non poteva che beneficiare di quello scienziato, facendone uno dei personaggi di punta del suo programma teorico, mai tradottosi con incarichi politici conferiti al suo “amico”. L’Italia, uscita a pezzi dalla Grande Guerra, avrebbe insegnato al mondo “la forza della volontà e il valore del genio italico”. Sta proprio qui, in queste due parole: “genio italico” il vero movente dell’interessamento del Duce per Marconi.

D’altra parte, se non v’è dubbio alcuno che in lui risiedesse il genio, Mussolini cercò di non dare troppo peso al fatto che Guglielmo fosse diventato più britannico che italiano, ma è certo che lo spirito patriottico del bolognese fu sempre saldissimo e sincero. Da parte sua, Marconi vide in quella prima fase del fascismo (e non certamente unico tra gli scienziati) un Mussolini come l’uomo del futuro ed il fautore di quel cambio di passo tecnologico che gli avrebbe permesso di procedere speditamente verso l’ambizioso traguardo dell’universale mezzo di comunicazione tra i popoli, ai quali credeva con animo sincero.

Non vi è soltanto vuota retorica né piaggeria in certe esternazioni di Marconi rivolte al Duce nell’affermazione che oggi, con semplicistica approssimazione, viene indicata da alcuni quale manifesta e incondizionata adesione di Marconi al fascismo. Ecco la frase incriminata:

Rivendico a me stesso l’onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d’Italia.

Questa l’immeritata condanna postuma, ampiamente sbandierata dalla massima parte degli intellettuali e storici di sinistra nei confronti del genio e patriota di Pontecchio; una sentenza di colpevolezza emessa senza possibilità alcuna di difesa e senz’appello. Se si potesse esaminare la frase incriminata con fredda lucidità, ossia senza le lenti colorate del l’ideologia di parte, più che manifestazione d’entusiasmo acritico per il nascente regime, Marconi giocò con le parole, sottolineando le analogie tra i fasci di onde radio ed il fascio littorio, simbolo del movimento fascista.

Dare del “grande condottiero” a Mussolini, intorno agli anni Venti, era uno sport piuttosto praticato, in quanto erano molti i desiderosi di uscire dalla grande depressione creatasi dopo la Grande Guerra ed orientati a ciò che pareva il salvifico rinnovamento. Le figlie di Marconi, nei loro libri, riportarono la testimonianza di un’iniziale diffidenza di Marconi verso gli squadristi, ch’egli definiva in famiglia dei facinorosi, tuttavia subendo egli il fascino carismatico di un Mussolini che, probabilmente gli parve l’uomo giusto al momento giusto per il nostro Paese.

Va detto, comunque, che Guglielmo Marconi morì nell’anno 1937 e, in quell’anno, nessuno aveva ancora la cognizione che, da lì a tre anni, l’Italia sarebbe entrata in guerra accanto alla Germania. Le famigerate leggi razziali del 1938-39 non erano ancora state promulgate nel nostro Paese e il famoso incontro a Venezia tra Hitler e Mussolini avvenne soltanto l’anno dopo. Pure l’Asse Roma-Berlino, alla morte di Marconi, era stato sancito, senza ancora effetti pratici, soltanto sei mesi prima, mentre il Patto d’Acciaio con la Germania nazista risale a due anni dopo la morte di Marconi.

La cronistoria degli eventi esclude le considerazioni affrettate e riporta tutto sul piano della realtà. Ciò premesso, già dovrebbe sgombrare il campo da possibili equivoci e non consente di attribuire al Premio Nobel bolognese la sua personale e convinta fede fascista, oltre ai generici riferimenti alla grandezza d’Italia che quel nuovo movimento politico guidato da un “vero capo” avrebbe accresciuto.

Marconi parlò bene di Mussolini, questo è certo, e morì prima di poterne parlare male, ma lo fece assai probabilmente poiché guidato dalla genuina convinzione di essere dalla parte giusta. Altra dichiarazione sulla quale erroneamente viene basata oggi una profonda fede fascista di Marconi ci previene da una frase di Mussolini, il quale, in commemorazione di G.M. ebbe a dire:

Nessuna meraviglia che Marconi abbracciasse, sin dalla vigilia, la dottrina delle Camicie Nere, orgogliose di averlo nei loro ranghi

In realtà, non risulta affatto che Marconi sia mai stato una camicia nera o un sostenitore dei primi squadristi, anzi, le figlie sostennero esattamente il contrario. Nel 1919, anno della fondazione dei Fasci di Combattimento, lo stesso era già senatore del Regno per alti meriti verso la nazione, ed è del tutto irrealistico immaginarlo attivamente coinvolto nella propaganda di quelle formazioni politiche che, come ben noto, la Corona guardava con occhio ancora dubitativo.

Il vero punto focale dell’interessamento di Mussolini a Marconi fu, piuttosto, l’enorme utilità che il capo del fascismo intravide ai fini della propaganda, che ben sappiamo essere stato da subito uno dei pilastri della sua azione politica. Ma, anche in quel caso, il gioco per Mussolini finì troppo presto, con la morte del creatore della radio. L’utilizzo intensivo della radio da parte del regime fascista avvenne ben dopo la morte del suo inventore e ciò lascia un’alea d’indeterminatezza su fatti e circostanze che non sappiamo se G.M. avrebbe approvato, tanto più che già nel 1935 l’impresa coloniale in Etiopia creò qualche problema tra questi e Mussolini a causa dei rapporti privilegiati tra lo stesso Marconi e l’Inghilterra, indubitabilmente sua seconda patria.

Non avrebbe senso speculare oltre su quali potrebbero essere stati gli sviluppi dei rapporti tra Mussolini e Marconi se quest’ultimo non fosse mancato proprio a ridosso della fase più controversa e discutibile del Ventennio. Per dirla in modo tranchant, fu di certo maggiore l’interesse del Duce verso Marconi che quello di Marconi verso il Duce: Marconi aveva autorità, ricchezza, autonomia e riconoscimenti talmente importanti e indiscussi da non aver bisogno di Mussolini per ulteriormente affermarsi. Semmai, accadde l’esatto contrario.

La leggenda del “raggio della morte”

Quando, intorno al 1930, Marconi iniziò a sperimentare la trasmissione sulle onde cortissime (allora impropriamente definite microonde) per rilevare la presenza di ostacoli riflettenti tra l’apparecchiatura e un dato punto dell’orizzonte, misurando il tempo di ritorno dell’eco prodotto dalle onde radio riflesse (ossia l’antesignano del moderno radar), non furono pochi a preoccuparsi di quelle strambe trasmissioni di onde elettromagnetiche non dirette ad un ricevitore radio, bensì mirate a oggetti della più varia natura sulla terra e in cielo, e si diffuse la voce popolare che il grande scienziato stesse studiando “il raggio della morte”, ossia un sistema in grado di uccidere essere umani a distanza.

Come spesso avviene quando incompetenti danno fiato a dicerie e voci del tutto incontrollate, vi fu chi disse e, purtroppo, v’è pure oggi, che Marconi stesse sperimentando un’arma di distruzione di massa, cosa del tutto impossibile ancora oggi con le sole onde radio. Sappiamo oggi che, per quanto concentrate (difficoltosamente) verso un corpo vivente, le onde elettromagnetiche non possono apportare un danno immediato all’integrità fisica del loro “bersaglio”. Cosa – forse – possibile con un raggio ottico di enorme potenza emesso in tecnologia laser, ma della quale tecnologie Marconi non disponeva certamente e, comunque, mai sperimentò nel campo dell’elettronica applicata all’ottica.

Interessati detrattori (non dimentichiamo che Guglielmo fu un imprenditore internazionale di gran successo e, in qualche misura, un politico e diplomatico) diedero spazio a bizzarre teorie basate su racconti anonimi di greggi annientate dal “raggio della morte” nei pressi dei luoghi ove si svolgevano gli esperimenti marconiani. Vi fu persino chi sostenne che, negli ultimi giorni di vita, egli volle parlare assolutamente con Papa Pio XI, come per chiedere perdono per aver inventato una simile atroce minaccia per l’intera umanità. Tutte balle: il colloquio con il Pontefice, da lui ben conosciuto, certamente vi fu, ma sul suo contenuto nulla seppero nemmeno la moglie e i figli e, men che mai, ne parlò il Vaticano.

Perdita incolmabile

Guglielmo Marconi morì a 63 anni, dopo una lunga malattia cardiaca, il giorno 20 luglio del 1937, lasciando il mondo intero sgomento e addolorato per quella perdita incolmabile. Moltissimo dobbiamo a lui, anche la possibilità di leggere questo articolo, trasmesso in redazione da chi scrive con tecnologia via radio e da voi lettori, magari, pervenuto tramite una rete wifi. Marconi non soltanto inventò la radio, con le sue infinite ed ancora in parte inesplorate applicazioni pratiche, ma segnò una svolta decisiva nella storia e nel progresso umano.

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