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Dal Covid all’Ucraina, il fuoco amico di De Luca sulla Nato imbarazza il Pd

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In questo periodo, non mancano i grattacapi per Enrico Letta. Da un lato, è superato a sinistra dal movimentismo dell’ex premier Conte che tenta di rianimare i sondaggi e smarcarsi dal neo-atlantista Luigi Di Maio, inseguendo le sirene anti-americane dei grillo-pacifistici. Dall’altro, è sottoposto al fuoco amico di un esponente di spicco del suo stesso partito, Vincenzo De Luca.

Il presidente della Regione Campania, dismessi momentaneamente i panni del virologo e stracciato il contratto per la fornitura di Sputnik, da quando Putin ha invaso l’Ucraina e il racconto pandemico non è più virale come ai tempi delle dirette seguite perfino da Naomi Campbell, si è trasformato in una sorta di Orsini istituzionale che piccona l’Occidente e la Nato dal suo ufficio in cui registra la nota diretta social. Un rito settimanale, nato con la scusa dell’emergenza sanitaria, ma che si è consolidato come appuntamento fisso nonostante sia calata l’attenzione rispetto ai tempi delle ordinanze lacrime e lockdown, e i commenti degli internauti tendano ormai al dissenso pure piuttosto feroce. Anche se, nonostante tutto, per gli aficionados lo streaming del venerdì resta un imperdibile autodafé.

La Russia ha invaso ma qui non ci sono innocenti”, è un po’ il suo cavallo di battaglia, il suo biglietto da visita. Come quella frase di Orsini sul fatto che Putin, se volesse, “sventrerebbe” l’Ucraina. A ognuno il suo incipit. Quello di De Luca, qualche giorno fa, ha subito infiammato la platea confindustriale di Benevento dove era ospite. “Tutto è scoppiato per l’allargamento della Nato all’Ucraina. Ma andate al diavolo!” ha aggiunto arringando ancora di più il pubblico. Chissà quale ira funesta avrà scatenato la prossima adesione della Finlandia e della Svezia all’Alleanza Atlantica. Ma, d’altronde, De Luca è uno che dà del voi al resto del mondo, non si fa intimorire dagli eventi, definisce Boris Johnson “uno squinternato che non ha ancora scoperto l’esistenza del barbiere” e si arroga il diritto di poter schernire pure il segretario generale della Nato.

“Non ci sono più Kissinger, neanche Brzezinski, quei grandi diplomatici che avevano innanzitutto senso della storia, non questi primitivi, tangheri che parlano senza misurare il peso delle parole. E rimpiango Moro, Andreotti, i nostri grandi uomini di Stato che, prima di aprire bocca, conoscevano la storia dei Paesi dell’Europa, e non erano semianalfabeti di ritorno come il segretario della Nato”.

È pur vero che dall’entourage di Stoltenberg hanno fatto sapere che l’invettiva di De Luca non ha turbato i sonni dell’ex premier norvegese. Anzi, per la verità, ci sono stati momenti di incertezza perché nessuno sapeva esattamente chi fosse De Luca. Forse avrà telefonato alla sede di Bruxelles per rassicurare gli alleati la responsabile esteri del Pd, Lia Quartapelle, che ha immediatamente bollato l’impertinente intervento del suo collega di partito come “cabaret”.

Eppure il Pd ha sempre mostrato una certa accondiscendenza verso le cannonate sparate dallo zar salernitano. Prima l’emergenza ha rappresentato un’eccezionale arma di distrazione di massa che ha regalato una seconda vita politica a De Luca, con l’elezione plebiscitaria del settembre 2020 quando è riuscito a convincere più del 70 per cento dell’elettorato campano di aver sbarrato i confini regionali all’epidemia venuta dalla Cina. Un indubbio capolavoro di demagogia premiato alle urne.

Per mesi, con chiacchiere e ordinanze a raffica, ha costretto la popolazione campana a subire regole addirittura più severe di quelle congegnate da Speranza. Se il governo consentiva la corsa, De Luca la vietava. Se il governo permetteva il delivery, lui lo bandiva. Se il governo apriva i confini, lui organizzava i check-point negli aeroporti per tamponare e costringere all’isolamento domiciliare qualsiasi malcapitato si fosse recato all’estero. Se cessava l’obbligo di indossare la mascherina, lui la imponeva dappertutto minacciando l’uso del lanciafiamme nei confronti dei recalcitranti. Insomma, se a Roma già si dimostravano inflessibili, l’ancor più intransigente De Luca vietava perfino di bere per strada mettendo al bando alcolici e Coca-Cola.

Inoltre, mentre veleggiava in questa sua guerra personale contro le ondate epidemiche, il consenso cresceva e pure il suo eloquio si faceva più audace. Come quando mise alla berlina l’ex segretario del Pd, Nicola Zingaretti, per il famoso spritz ai Navigli: “Un segretario di partito che è anche un mio amico è andato a fare un brindisi, ma siccome Dio c’è si è contagiato!”. Per fortuna, che si trattava di un amico perché altrimenti il trattamento riservato da De Luca agli avversari sarebbe stato molto più abrasivo. Intanto, il buon Zingaretti, dopo aver incassato la reprimenda, si recò pure a Salerno a sostenere l’incontenibile campagna elettorale deluchiana. Stessa indulgenza dimostrata pure da un altro compagno di partito, il ministro Franceschini, con cui De Luca aveva polemizzato aspramente per la gestione del teatro San Carlo. Il tutto si è risolto con un incontro a margine della presentazione napoletana dell’ultima fatica letteraria del ministro della cultura.

Chi, invece, non si è ancora interfacciato con lui è Enrico Letta, peraltro pressato dall’appello di una serie di intellettuali campani contrari al terzo mandato. “Il partito che ho in testa io non è il partito dell’uomo solo al comando che decide, è un partito collettivo che decide insieme, non io da solo”, ha dichiarato il segretario del Pd durante una recente visita partenopea. Eppure, la metafora dell’uomo solo al comando non sembra azzeccatissima in una regione in cui il presidente ha accentrato tutti i poteri, dalla sanità alla cultura passando per i trasporti.

Un presidente che, unitamente al sindaco ed ex ministro Manfredi, ha declinato pure l’invito del consolato americano per la serata di gala a bordo della portaerei Truman transitata per il porto di Napoli. Un altro strappo che non sarà passato inosservato dalle parti del Nazareno che, se per un verso lamenta la sovraesposizione di Orsini nelle trasmissioni della Rai, poi glissa sulle martellanti e reiterate esternazioni di De Luca contro la Nato. “Negli ultimi trent’anni non è stata un’alleanza difensiva ma aggressiva che ha violato la legalità internazionale”, ha tuonato il presidente mentre sui giornali passavano in rassegna le foto delle barelle ammassate nel pronto soccorso dell’Ospedale Cardarelli. Ma, forse, De Luca ha ragione: una volta avevamo la diplomazia kissingeriana e ora ci tocca lo sceriffo campano con mascherina d’ordinanza che sermoneggia su Facebook. A ciascuno il suo.

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