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Ddl Zan: una gigantesca presa per i fondelli, se non avesse una pesantissima ricaduta penale

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Il Primo Maggio, spaparacchiato su una longchair, sto facendo zapping, quando all’improvviso dal video del canale tv 3 mi balza fuori il volto aggressivo di un tizio giovane, mai visto e sentito, che, con un tono di voce tambureggiante, sostiene che lui quando sale su un palco può dire quel cazzo che vuole, inutile cercare di censurarlo come avrebbe cercato di fare la vicedirettrice della rete, con a riprova un dialogo telefonico smozzicato. Mi sono detto beato lui! In un Paese in cui un cittadino qualunque come il sottoscritto non può lasciarsi sfuggire niente che non sia politicamente corretto, neanche in una conversazione confidenziale, perché c’è sempre qualcuno che si sente in dovere di registrarti col telefonino, diffondendo poi urbi et orbi qualche tua parola non allineata allo streaming dominante, per esporti al dileggio generale. Però lo sono stato a sentire, nel mentre elencava con tanto di nomi e cognomi una serie di battute, poco o punto encomiabili, da parte di esponenti leghisti, col chiaro intento di attaccare la Lega per il suo granitico no al disegno di legge conosciuto col nome del deputato che lo aveva predisposto, Zan.

Confesso che mi è suonato un po’ strano che da un palco apprestato per la festa dei lavoratori, pur per tenervi uno spettacolo musicale, si facesse tanto chiasso intorno a quel disegno di legge, non perché fuori tema rispetto all’argomento centrale, quale costituito oggi dalla profonda crisi occupazionale. Non per questo o almeno non solo per questo, ma perché estremamente divisivo, se è vero che tanti lavoratori votano per la Lega, certo condividendone il programma. Ne avrei avuto una conferma il giorno dopo: dal coro di caloroso appoggio di tutta la sinistra, ormai estesa da Leu ai 5 Stelle, con a fare da elastico un Pd ritornato a vocazione maggioritaria, si sono astenuti, almeno per quel che ne so, proprio i dirigenti sindacali. A far da baritoni Letta e Conte a traino, da solo non sarei riuscito a capirne la ragione, se non che la mia segretaria mi fulminò stupefatta, facendomi vergognare della mia ignoranza: “Lei non conosce Fedez, uno che ha dodici milioni di followers!”.

A questo punto sono diventato curioso. Il fatto che Fedez affermasse di essere stato vittima di un tentativo di censura, peraltro andato a vuoto, “lui era lui”, cioè quello coi dodici milioni appollaiati sul suo sito, sì da suscitare un certo moto di simpatia. Ma cosa mai gli avevano chiesto di fare, niente meno che rispettare “il sistema”, parola che già di per sé richiamava “1984” di Orwell; ma poi, questa parola tremenda si risolveva nell’osservare una regola addirittura scontata, di citare fatti o affermazioni di altri, senza che questi potessero replicare. Ma da professore di diritto sia pure un po’ annebbiato dagli anni, dovevo dare una occhiata a quel disegno di legge, di cui certo avevo sentito parlare, ma senza dedicargli una occhiata.

Detto e fatto. La intitolazione era senz’altro ghiotta “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sulla identità di genere e sulla disabilità”. A parte che non si riusciva a capire che cosa c’entrasse la disabilità, anzi così inclusa in coda sembrava la categoria generale a cui ricondurre tutte le varianti elencate precedentemente. Ma se sesso e orientamento sessuale suonavano del tutto ovvi, restava da capire che cosa si intendesse per genere e soprattutto identità di genere, quindi punto e a capo a leggere l’articolo 1. Confesso che non dico da giurista, ma semplicemente da persona di buon senso sono rimasto di stucco, perché non avevo messo in dubbio che sesso significasse… sesso, cioè quello costituito in primis dagli apparati genitali. Questo era vero solo in parte, perché sotto la lett. a) di quell’articolo, era scritto che “per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico”.

Per l’intanto si ammette quello che da quel versante ideologico si è sempre escluso, che, cioè, esista un sesso biologico, id est naturale; poi si aggiunge un sesso burocratico, quello risultante dall’anagrafe, quando evidentemente non concorda con quello biologico. Ma allora il terzo, non potrà neppure accontentarsi dell’apparenza, se pur malcelata dietro un abbigliamento che la smentisce, ma dovrà chiedere la carta di identità. Ma qui si è ancora lontani dalla autentica perla quale costituita dalla lett. d), ai cui sensi “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifesta di sé, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Si va ben oltre l’anagrafe, sì che non basta la carta di identità, perché se una persona con tanto di baffi e barba, abbigliato alla maschile, dice che lui si sente una donna, tu lo devi trattare di conseguenza, anche se ti sembra di fare la figura dell’idiota.

Sarebbe solo una specie di gigantesca presa per i fondelli, se la discriminazione non avesse una pesantissima ricaduta penale, con la sottoscrizione di una cambiale in bianco alla magistratura circa la sua esistenza, perché è vero che viene salvata la libertà di opinione, ma solo idee “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti”. Una sorta di invito all’accanimento repressivo delle nostre belle procure, con code processuali destinate a non esaurirsi mai, data la quasi soppressione della prescrizione.

C’è dell’altro, ben più grave, una sorta di normalizzazione, dove la coppia eterosessuale, su cui è fondata la famiglia, quella vera, garantita dalla Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio”, che costituisce la cellula della riproduzione fisica e culturale, diviene niente più di una variante al pari di qualsiasi altra, nella lunga serie della famiglia arcobaleno.