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Dietro l’inefficienza del pachiderma Ue, in gioco c’è l’idea di democrazia

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Comincio da un dato di fatto. Nel Regno Unito la campagna di vaccinazione di massa si sta svolgendo in modo rapido e ordinato, tanto da indurre gli osservatori a ipotizzare che in tempi piuttosto brevi si riuscirà a raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”.

Il paragone con quanto sta avvenendo nell’Unione europea non può che essere impietoso. Nessuna idea, a Bruxelles, sui tempi delle vaccinazioni, sulle priorità (chi dev’essere posto in testa alle liste?), sulle scadenze da rispettare per non sprecare le – finora poche – dosi a disposizione.

Eppure, non passa giorno senza che giungano annunci roboanti. Stanno arrivando milioni e milioni di fiale. Sì, ma quando? Nessuno lo sa con certezza. Nel frattempo bisogna arrangiarsi con ciò che c’è. Impresa certo non facile, visto che, come ho detto dianzi, non vi sono disposizioni precise circa le priorità.

Persino un europeista di ferro come Mario Draghi si è visto costretto ad affermare che, se le cose non cambiano velocemente, l’Italia troverà il modo di arrangiarsi e di procedere per conto proprio. Mai come in questo caso si è constatato quanto sia lenta la burocrazia europea la quale, per certi versi, è addirittura peggiore di quella italiana.

Del resto chi ha avuto modo di visitare le sedi Ue a Bruxelles capisce subito di cosa sto parlando. Palazzi enormi, corridoi infiniti in cui è facile perdersi, migliaia e migliaia di burocrati – peraltro sistemati in comodi uffici – scelti col bilancino per garantire ogni singolo Paese, indipendentemente dalle sue dimensioni e dal suo peso politico reale.

L’Unione è insomma un grande pachiderma, che in quanto tale è destinato a muoversi con lentezza esasperante anche in condizioni di emergenza come quelle create dall’attuale pandemia. E, proprio come gli elefanti, ha movimenti rallentati anche quando sarebbero necessari velocità e iniziativa.

Fu progettata così per impedire che le nazioni maggiori schiacciassero le piccole. E la situazione è poi peggiorata costantemente con i continui allargamenti in ogni direzione. A molti sembra una tendenza virtuosa, senza tener conto del fatto che anche un’organizzazione sovranazionale è tenuta, per sopravvivere, a muoversi con rapidità, soprattutto in situazioni d’emergenza.

Tutti rammentano che la Brexit ha scatenato reazioni destinate a mutare il significato stesso della parola “democrazia”. O, almeno, di ciò che con tale termine s’intende nel mondo occidentale.

Si tratta infatti di capire se siamo ancora disposti a sostenere – e non a “concedere” – che in ultima analisi dev’essere il corpo elettorale nella sua totalità a decidere su questioni che toccano la vita di ognuno, oppure se in “certi casi” (ma quali?) la decisione debba essere demandata a non meglio precisati “consessi di esperti”.

La questione è, al contempo, filosofica e politica, e riveste un’importanza fondamentale. Percorrendo la prima strada si resta fedeli al principio “una testa, un voto”, pur sapendo che tale scelta comporta rischi, come la storia dimostra. Se invece s’imbocca la seconda, spetta ai suoi fautori dimostrare come, e su quali basi, debbano essere individuati i succitati esperti. Non ho trovato nei numerosi interventi dei detrattori della Brexit alcuna indicazione plausibile al riguardo.

Sono celebri, a tale riguardo, alcune frasi del premio Nobel Amartya Sen, il quale si limitò ad affermare: “In democrazia certe questioni devono essere decise da chi governa ma dopo aver avviato una discussione pubblica, con controllo dei fatti”.

Capita inoltre di trovare nei social network discussioni in cui si sostiene che i voti vadano in qualche modo “pesati”. Poiché i sostenitori della Brexit hanno secondo molti chiaramente torto, e i suoi detrattori altrettanto chiaramente ragione, era opportuno attribuire al voto dei secondi un peso maggiore consentendo loro di prevalere pur avendo perso nelle urne. E qui le norme elementari della democrazia vengono stravolte senza tanti complimenti.

Il problema fondamentale, tuttavia, resta il seguente. Posto che nella sfera politica e sociale non esistono criteri oggettivi e neutrali per discernere chiaramente ragione e torto, come individuare gli esperti – i “saggi” – che, evitando il ricorso alle urne, siano in grado di indicare al popolo qual è la strada giusta da percorrere, sicuri che alla fine tale popolo capirà che si è agito per il suo bene?

Gli esperti in questione devono avere alle spalle, come minimo, una dottrina che li assicuri di essere dalla parte giusta. Accadeva, per esempio, nei regimi basati sul marxismo-leninismo, che in teoria garantiva proprio la conoscenza delle leggi della Storia, e il conseguente adeguamento al loro automatico sviluppo.

Nulla di simile è disponibile nel dibattito odierno. E allora non si può a tutti i costi denigrare il pensionato del Kent che votò a favore della Brexit ed esaltare l’intellettuale di Oxford che votò contro. In democrazia vale la regola della maggioranza, e chi prende più voti vince. Piaccia o meno, è così, e chi vince va rispettato anche se non concordiamo con la sua opinione. Altrimenti ci ritroveremo con un concetto di democrazia diverso dall’attuale, e non è detto che alla fine si riveli migliore.

Le ultime vicende, comunque, dimostrano che i sostenitori della Brexit avevano buone ragioni per votare a favore. Riappropriandosi della propria sovranità nazionale, Londra è sfuggita alle maglie dell’elefantiaca burocrazia europea, ed è stata quindi in grado di organizzare al meglio una campagna vaccinale rapida ed efficiente.

Contano, infatti i risultati concreti e non le petizioni di principio come quella dell’ex premier Mario Monti, il quale era convinto che in alcune situazioni sia preferibile non consentire ai cittadini di esprimere la loro opinione con il voto. È il caso, a suo avviso, dei trattati internazionali, circa i quali lo stesso Monti disse: “Sono contento che la nostra Costituzione non preveda la consultazione popolare per la ratifica dei Trattati internazionali”.

Nel frattempo lasciamo che i britannici godano della loro ritrovata autonomia vaccinandosi tutti senza troppe remore. A noi invece tocca attendere e capire cos’hanno in mente i padroni di Bruxelles, convivendo con un virus che sul continente continua a mietere vittime.

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